Regia di Ismaël Ferroukhi vedi scheda film
Musulmani che aiutano gli ebrei a farsi passare per musulmani. Immigrati che aiutano i francesi a difendere il loro Paese. Accade a Parigi, durante l’occupazione tedesca. Younes era arrivato dal Maghreb prima dello scoppio della guerra, quando ancora le fabbriche erano aperte e si poteva trovare lavoro. Poi la disoccupazione l’ha costretto ad arrangiarsi. All’inizio della storia quel giovane è solo un piccolo commerciante in nero, che compra e rivende quello che trova, fosse anche un piccolo tamburo di pelle di pecora. Quando la polizia lo arresta, in cambio dell’impunità si piega ad uno squallido compromesso, che lo trasforma in una spia, appostata presso la moschea per sorvegliare i movimenti di persone sospettate di appoggiare la resistenza. Una Francia libera è il primo passo per l’indipendenza algerina, si dice. Intanto, però, Younes bada solo al compito che gli è stato assegnato. Fino a che non gli capita di incontrare Salim, il giovane cantante che è una delle più belle voci del mondo arabo, e nei cui occhi insolitamente chiari si scorge una luce diversa, che sembra parlare d’altro. Contemporaneamente, un amico gli offre l’occasione di scoprire quale sia la giusta causa per la quale valga davvero la pena di mettere a rischio la propria vita. Younes diventa un combattente un po’ per caso, un po’ per scelta. Difficile stabilire il confine tra le due opzioni, che il film lascia volutamente sfumato, intrappolato in quel sottile di incertezza lungo il quale il protagonista si muove con una prudenza mista a timidezza. Younes, in ogni momento, si trova ad affrontare una missione molto più grande di lui, che, a seconda dei casi, oltrepassa i limiti suggeriti dalla sua coscienza morale, oppure supera abbondantemente il territorio entro cui, per lui, si disputano le abituali, innocenti schermaglie tra il bene e il male. Quel ragazzo, biologicamente adulto ma non ancora del tutto uomo, prima di allora non conosceva il mondo delle guerre politiche, religiose, razziali, con i dilemmi che vi si incrociano, ed il problema di capire da che parte stare. Per poter decidere, ci sono i criteri di utilità personale, come l’opportunità di salvarsi dalla prigione. A questi, che sono a portata di mano, improvvisamente si aggiungono, però, in una prospettiva infinitamente più ampia e complessa, i principi di umanità, di solidarietà col prossimo, e di sostegno ad un popolo oppresso o perseguitato. Esistono le persone ed esistono gli ideali. Possono presentarsi come qualcosa che non ci appartiene, per poi diventare, inspiegabilmente, il fondamento stesso della nostra esistenza. Younes si lascia trascinare da una spirale di eventi che lo avvolge pian piano, e che finisce per dare un senso alla sua condizione di straniero senza punti di riferimento, che passa i suoi giorni a sbarcare il lunario in una terra alla quale nulla lo lega. Il suo percorso è un viaggio alla ricerca del vero motivo per il quale il destino l’ha condotto lì, con il miraggio di un futuro migliore, per poi abbandonarlo nella solitudine, nella povertà e nel disorientamento. Ismaël Ferroukhi, regista e coautore della sceneggiatura, ci accompagna in questo itinerario con lo stesso sguardo, indagatore e smarrito, che Younes, in maniera inconsciamente provocatoria, rivolge all’universo impazzito che gli gira intorno. E in questo modo ci regala un ritratto insolito degli hommes libres, che sono anche ingenui e poco determinati, perché dotati di un’anima ideologicamente vergine, indenne dai pregiudizi e da tante retoriche ipocrisie.
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