Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Nel cinema succede anche questo: che una storia bruttissima, dal triste finale annunciato fin dalla prima scena, possa rivelarsi un capolavoro. Ricordo di aver vissuto questa esperienza con altri due sgradevoli ma pur sempre geniali pugni allo stomaco: “E Johnny prese il fucile” di Dalton Trumbo (1971) e “Elephant man” di David Lynch (1980). Storie di sofferenze senza via d’uscita. Anche se non è divertente e meno che mai intellettuale, apprezzo il cinema capace di sbatterti in faccia la realtà e questo film lo fa senza ritegno, corroborato dalla genialità registica di Michael Haneke. Il teatro della vicenda narrata è un bell’appartamento parigino nel quale due anziani e raffinati coniugi si confrontano con la vecchiaia, la malattia e la morte. Il regista si prende tutto il tempo che ritiene utile per punteggiare l’evoluzione del dramma con inquadrature fisse, pause lunghe e necessarie che incitano lo spettatore avveduto a concentrarsi sui dettagli e su una lentezza che fa da contrappunto alla rapida e insolente accelerazione del tempo per chi ha “troppi” anni. Per me, Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva si aggiudicano d’autorità un oscar virtuale alle rispettive carriere. Recitano con l’imbarazzante consapevolezza di fingere fino a un certo punto. Il film fa male, invita a comprendere che scienza e medicina oggi hanno allungato non tanto la vita, quanto la vecchiaia. Nel finale, esplode inattesa la soluzione che rimanda fedelmente e crudelemente alla scena più struggente di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1975) di Milos Forman. Non sono uscito indenne da questo film. Con la fantasia, riesco ad immaginare un remake fra trent’anni anni, con Isabelle Huppert nel ruolo di Emmanuelle Riva. Io difficilmente ci sarò...
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