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Amour

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Amour

di Kurtisonic
8 stelle

La provocazione  di M.Haneke è nel titolo: quello che vediamo fra le immagini, realistiche più di ogni altra storia, stare vicino alla persona che ti è più cara, nel calvario di una malattia degenerativa, vederla cambiare attimo dopo attimo, fino alle estreme conseguenze, è amore? Una premessa va fatta prima di tutto sugli attori, nella parte di personaggi avviati ad un naturale declino, anch’essi impegnati in  una delle ultime prove vicino alla conclusione di solide carriere artistiche: negli occhi di Emanuelle Riva (Anne nel film) soggiace ancora la memoria dell’amore di Hiroshima mon amour, il manifesto della nouvelle vague, nello sguardo un po’ incarognito di J.L.Trintignan (Georges) c’è qualcosa di quel giudice  in pensione che osserva e pontifica in  Film rosso sulla vita degli altri senza volere farsene carico. Sembra che Amour rappresenti un naturale e maturo contrappasso. Banali rimandi, coincidenze, echi casuali, eppure è viva l’impressione vedendo il film che questi due personaggi attori  possano riassumere in Amour tutto il loro percorso e che Haneke lo restituisca con dignità alla memoria degli spettatori. …Il nostro nome sarà dimenticato col tempo, la nostra vita passerà come le tracce di una nuvola e si dileguerà come foschia braccata dai raggi del sole…..(Derek Jarman, Blue). Questa volta Haneke non costruisce una storia estrema, e non è interessato ad analisi socio filosofiche, con un controcampo fuori dallo schermo (la platea degli spettatori di fronte allo spettacolo della vita) ci fa entrare in una casa, e da lì non usciremo se non cambiati rispetto a prima. Il regista costruisce il distacco, da sé, dall’altro, dalla vita o da un pezzo importante di essa,  ne elenca i componenti, e dolorosamente se ne libera. Anne e Georges insegnanti di musica in pensione, attendono “serenamente” di morire e come capita non sarà proprio come se lo aspettavano. La malattia, il decadimento fisico e poi mentale, l’agonia, i ricordi. Haneke non tralascia nulla, mostrandone la faccia più cruda e più vera, applica il suo metodo che non contempla dentro lo schermo emozione o sentimentalismo, agisce sugli attori ottenendone  una trasformazione interiore ed esteriore, attacca la visione stereotipata dolceamara della vecchiaia, riduttiva, subordinata all’ordinamento sociale, attraverso la malattia più inguaribile e più potente: l’amore. Una scena emblematica e simbolica sarà quella che vede Georges alle prese col piccione che entra in casa dalla finestra, e quella che sarà la reazione dell’uomo. Uso del sonoro: quando si parla di Haneke si tira spesso in ballo la violenza. In Amour il regista la esclude da ogni sguardo esterno alla casa, alla vita dei due coniugi, non è concessa neanche sotto forma di una comprensibile reazione emotiva alla figlia Eva (una contenuta Isabelle Huppert), che non ne sopporterebbe la portata. La violenza è tutta interna al presente vissuto dai due protagonisti, e viene formalizzata nel sonoro diegetico lungo tutto il film. Dalla porta scardinata dai vigili del fuoco all’acqua del rubinetto lasciato aperto, dalla pioggia che cade vicino ad Anne accasciata a terra e confusa, dai passi strascicati che rimarcano la presenza fisica alla musica, dapprima ascoltata in concerto, poi nel salotto con l’allievo prediletto, poi ancora solo da un cd, e già diventa intollerabile come una fotocopia di verità, di ciò che per loro era importante come la vita stessa, e che in disco non ha più consistenza, nessuna presenza. Infine con Georges che immagina di vedere Anne seduta al pianoforte che suona divinamente, com’era prima di ammalarsi, raggiante, rigorosa, luminosa ai suoi occhi (forse in una delle inquadrature più toccanti). Georges troverà nel silenzio la fine della violenza, lo stesso silenzio che Eva trova quando entra nella casa nel finale. La rappresentazione resta lucida e controllata fino in fondo, bilanciando il mostrabile e il non, con la stessa  chiarezza si esce finalmente dal controcampo iniziale, spettatori del dramma al quale non ci si può sottrarre e di fronte al quale tutto ci si potrà domandare tranne che un giudizio morale.   

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