Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Rispetto alla prova testamentaria di "Gran Torino", a mio parere ottimamente risolta, qui il Clint Eastwood regista sembra fare un passo indietro. "J. Edgar" è un bio-pic sulla vita del dirigente dell'FBI John Edgar Hoover, raccontata dallo stesso Hoover in flashback a vari agenti giovani del Bureau, a partire dagli anni Venti con la caccia ai comunisti e ai radicali che mettevano a repentaglio il benessere dell'America fino agli anni Settanta con l'elezione del presidente Nixon, la morte di Hoover e la misteriosa sparizione dei suoi segretissimi files. Il film si concentra soprattutto sulla vita pubblica di Hoover, rievocando alcune delle sue "imprese" più acclamate come l'arresto di Bruno Hauptmann, probabile rapitore e assassino del figlio di Charles Lindbergh, l'uccisione del bandito Dillinger, i rapporti col senatore Robert Kennedy, ma ci mostra anche il coté privato di Hoover esplicitando la relazione omosessuale col suo fidato collaboratore Clyde Tolson, relazione che, a dire il vero, per quanto possibile o probabile, non è mai stata dimostrata da nessun conoscente o collaboratore di Hoover in maniera attendibile. Lo sceneggiatore è Dustin Lance Black, che aveva vinto un Oscar per il copione di un altro recente film biografico, "Milk" di Gus Van Sant: si ha l'impressione che il suo lavoro nel film precedente fosse più scrupoloso e appassionato, mentre qui si ha una sensazione di incompletezza sul personaggio che non è sufficientemente riscattata dall'inserimento di molti dettagli privati come il rapporto ossessivo con una madre castrante o le scenate di gelosia di Clyde Tolson quando Edgar gli accenna ad una sua possibile sistemazione matrimoniale con l'attrice Dorothy Lamour (la scena, che culmina in una lotta fisica fra i due uomini e in un bacio appassionato di Clyde strappato "a tradimento" ad Edgar, che subito gli impone di "non farlo mai più", mi è sembrata comunque piuttosto coraggiosa ed efficace). I flashback della prima parte risultano un pò freddi e sbrigativi, anche nella rievocazione del caso Lindbergh; nella seconda c'è un maggiore coinvolgimento emotivo e gli incastri temporali della sceneggiatura risultano meno dispersivi: senz'altro uno dei fattori maggiormente unificanti del film è l'interpretazione di un Leonardo Di Caprio assai autorevole nel ruolo, molto convincente soprattutto nelle sequenze dell'ascesa al potere di Hoover, spesso ritratto come un freddo calcolatore un pò machiavellico. Nelle scene della vecchiaia il make-up piuttosto pesante sembra in parte limitare l'espressività di Di Caprio che, comunque, a differenza del suo collega Armie Hammer (ridicolo con un trucco davvero eccessivo che lo fa sembrare una specie di zombie), riesce a non soccombere e a mantenere intatto il controllo del personaggio. Fra i caratteristi spicca soprattutto Judi Dench come madre di Hoover, per quanto appaia in poche scene, mentre Naomi Watts, che ha un ruolo più consistente nei panni della segretaria miss Gandy, non sembra avere molte occasioni per sfoggiare la sua tempra di attrice. Nel complesso, Eastwood fa un lavoro onesto di regia puntando i riflettori su una figura importante per la storia americana del Ventesimo secolo, ma il film non risulta fra le sue opere più personali e sentite pur mantenedosi su un livello dignitoso.
voto 7/10
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