Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
La cinepresa di C.Eastwood irrompe ex abrupto (lussemburgo) nelle stantie stanze del potere (quello reale, però, non quello di facciata dell’ultimo politicante di turno più o meno democraticamente eletto) e indugia freneticamente (visti gli improvvisi e incessanti flashback) sui dettagli dell’innominabile diversità (abilmente mascherata, però, dall’efficienza della repressione statale) del suo più alto rappresentante… e ne sviscera delicatamente l’anima (nonché, inevitabilmente, l’anima dell’America stessa, essendone stato per anni il suo più geloso custode).
Tuttavia esiste un notevole iato tra le ambiziose mire registiche di Eastwood e le fameliche pretese del suo pubblico (anche quello più ben disposto), che tramuta quello che sarebbe dovuto essere il tracciato della parabola (ascendente o discendente non è dato saperlo) umana (prim’ancora che professionale) dell’uomo - al di là dei rituali epitaffi commemorativi - più temuto d’America in una curva sbilenca riluttante a farsi strada tra le pieghe delle storia.
Eastwood pensava forse di descrivere con sufficiente esaustività i suoi 50 anni di vita pubblica e privata avvalendosi dei continui sbalzi temporali summenzionati, ma così facendo ha sviluppato una narrazione poco fluida, discontinua, frammentaria e confusionaria (Lina).
Eastwood riteneva doverosa una fotografia desaturata (uno dei suoi marchi registici inconfondibili da Flags of our fathers in poi; scapigliato) che svuotasse di colore un’epoca intera virandola al grigio (bradipo68), ma in questo modo ha creato una cappa troppo cupa e opprimente; così asfittica da sembrar quasi soffocare sul nascere persino quei sospetti ed illazioni che la sua tetra aurea avrebbe, piuttosto, dovuto alimentare.
(Infine) Eastwood ha forse immaginato che un trucco pesante potesse (così ritiene mise en scene 88) simbolicamente rendere il signor Hoover, personaggio pubblico, una maschera di Edgar (come amava chiamarlo la mamma, interpretata benissimo dalla mefistofelica Judi Dench; pazuzu) o magari che potesse rappresentare un surplus di devastazione fisica che rimandasse a quella morale (Marcello del Campo)… In realtà - mentre qualcuno vi ha riconosciuto Philip Seymour Hoffam (mm40) e, nel suo intimo amico C.Tolson, il Ruggero De Ceglie de I soliti Idioti (LAMPUR) - quasi chiunque ha, più semplicemente, avvertito un forte senso d’imbarazzo (anche a causa del maldestro camuffamento della voce operato nel doppiaggio italiano, stavolta non impeccabile), nulla potendo il grande DiCaprio; una certezza.
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