Regia di William Friedkin vedi scheda film
“Hai sentito parlare di Joe Cooper?”
“No!”
“È un poliziotto, un detective, di preciso.”
“Ok.”
“Ha una piccola attività collaterale.”
“Che cosa fa?”
“È un killer, uccide persone.”
“Sì. E allora?”
“Mamma ha 50'000 dollari di assicurazione sulla vita, se non lo sai. Non mi guardare così!”
Contea di Dallas, Texas: Chris Smith (Emile Hirsch) è un piccolo spacciatore, sbandato e nei guai per debiti con un boss locale; accusa l'odiata madre di avergli fregato la cocaina pronta per lo spaccio, ma questo non risolve i suoi problemi. Prova così a cercare rifugio e a sfogarsi dal padre divorziato Ansel (Thomas Haden Church), che si fa convincere dal figlio ad orchestrare un piano tremendo: ingaggiare un sicario affinché uccida la donna per intascarne i soldi dell'assicurazione sulla vita.
L'implacabile sicario di cui Chris ha sentito parlare è un certo Joe Cooper (Matthew McConaughey), poliziotto tutto d'un pezzo che aggiusta i suoi proventi uccidendo su commissione e dietro l'ingente caparra di 25'000 dollari. Gli Smith, non essendo in possesso di una cifra simile, gli promettono che avrà tutto una volta effettuato il lavoro e riscossa la somma dal notaio, ma Joe non è tipo da fare eccezioni e pretende un'altra forma di caparra: la giovane Dottie (Juno Temple), illibata sorella di Chris con qualche lieve disagio…
“Se ti azzardi a insultarmi ancora, io ti scortico quella faccia e la indosso sopra la mia! Sono stato chiaro?”
Ad oggi ultimo film di William Friedkin, “Killer Joe” è stato distribuito poco e male, ritirato molto presto dalle sale e dunque costretto all'insuccesso di pubblico, nonostante i pareri generalmente positivi della critica. Marchiato con l'NC-17 (divieto ai minori di 18 anni) dalla MPAA, sconta una fruibilità dunque ridotta, a cui il pervicace regista classe '35 rifiutò di porre rimedio con qualche taglio accomodante, preferendo far uscire in DVD una versione rieditata col rating R; se la scena di nudo di Juno Temple è magistralmente ansiogena e intensa, la rimarcata e disturbante fellatio alla coscia di pollo fritto di Gina Gershon non poteva fare a meno di incontrare ostacoli verso la libera circolazione.
Scenggiato da Tracy Letts (già collaboratore di Friedkin per il precedente “Bug”) come adattamento di una sua pièce teatrale datata 1993, “Killer Joe” è un divertito noir intriso di black humor e di sadismo; difficile reputare un semplice caso il fatto che il personaggio di Joe sia un poliziotto, il cui ingresso in scena conduce alla messa in atto di una violenza esplosiva e sconsiderata, ma fino a quel punto circoscritta alla fase verbale, fra tensioni, propositi e minacce. Comunque lungi dall'essere opera dai contenuti sociali (eccezion fatta per il trito e compiaciuto ritratto dei cavernicoli redneck), “Killer Joe” trascura colpevolmente ogni profilo psicologico e indulge in inverosimiglianze e parossismi, ricordando molto più i fratelli Coen - invero notoriamente molto più sottili - che il sovente citato Tarantino, al massimo rintracciabile in modo risibile nel delirante, sgraziatamente grottesco e scarsamente accettabile finale.
Se l'evoluzione della trama verso il pulp non convince, altrettanto non si può dire di una sfavillante realizzazione tecnica: l'ormai 76enne Friedkin posiziona e muove la macchina con innata maestria, abbinando soluzioni mai banali ad un montaggio perlopiù efficace e all'ottima e livida fotografia, opera nientemeno che di Caleb Deschanel. Ottima anche la direzione degli attori: McConaughey – in uno dei primi ruoli atti a svincolarsi da commediole romantiche e filmetti d'azione che lo hanno visto frivolo protagonista per quindici anni – è carico e partecipe, ma stupiscono anche il piccoletto Emile Hirsch, la fragile Juno Temple e uno sporco Thomas Haden Church. I personaggi non brillano forse per alchimia perché la sceneggiatura sorvola un po', ma ognuno riveste il proprio ruolo con brillante trasporto.
Non trovo sia il capolavoro della maturità di Friedkin – come da più parti si recepisce – né un originale e immediato classico: “Killer Joe” è tutt'al più un film inconsueto per il linguaggio di Friedkin, che ad un'età veneranda si mette comunque in gioco, mescola i codici e dimostra ancora una volta il signor regista che è stato.
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