Regia di William Friedkin vedi scheda film
In debito con uno spietato boss della droga, il giovane e scapestrato Chris decide di racimolare la somma che può salvargli la pelle, dal riscatto della polizza assicurativa sulla vita della madre che, già da anni, ha abbandonato lui e la sorella Dottie per andare a vivere con un'altro uomo. In combutta con il padre e la matrigna, decide allora di assoldare 'killer' Joe, un poliziotto locale che nel tempo libero si presta spesso e volentieri all'omicidio su commissione ben remunerato. La mancanza di liquidità di Chris, convince Joe ad accettare, quale caparra per la prestazioneien richiesta, la prelazione sulle grazie della ingenua e virginale Dottie. Finirà male.
Alla voce Friedkin, in una ideale enciclopedia del cinema americano, saltano subito agli occhi tanto gli spauracchi antropologici legati alla sopravvivenza nella moderna e progredita civiltà occidentale, di oscure pratiche religiose avverse al Maligno ('L'esorcista' - 1973) quanto la lotta senza quartiere contro il narcotraffico in una Los Angeles spietata e violenta che nulla ha da invidiare all'epica della conquista di una rinnovata frontiera Western (Vivere e morire a Los Angeles - 1985). Da sempre oltre l'adesione ai generi e facile ad un immaginario cinematografico potente e significativo che negli ultimi anni si è via via avvicinato al rinnovarsi del linguaggio nelle forme di una sottile indagine psicologia sulle paranoie di un bestiario umano marginale e periferico (Bug - 2006), il grande autore americano si lancia nell'adattamento cinefilo e ammiccante di una piece teatrale di successo (scritto dallo stesso autore e premio Pulitzer Tracy Letts) nelle forme del noir iperrealista e ferocemente ironico che sembra ricapitolare più l'America profonda e spietata dei fratelli Coen che le evoluzioni stilistiche e le spiazzanti contaminazioni di un istrione dei registri cinematografici come Quentin Tarantino.
Vivere e morire a los angeles (1985): Una scena del film
Benchè il risultato possa lasciare spiazzati e non convincere del tutto per via di una continuità narrativa che sembra pagare lo scotto della matrice teatrale (o forse il problema è al montaggio), Friedkin ci presenta la desolazione di un ambiente umano dove in barba alla credibilità dei caratteri psicologici si mette in scena una sorta di contrappasso della virtù tradita, laddove il prevalere del cinismo e del mero calcolo economico sul valore delle relazioni all'interno di un nucleo familiare ormai disgregato per implosione, determinano una serie di reazioni di causa-effetto che conducono all'inevitabile gioco al massacro finale. Una guerra di tutti contro tutti insomma, di subdole manipolazioni incrociate, dove il peccato di ciascuno si somma irrimediabilmente a quello dell'altro generando una escalation di ritorsioni dove l'elemento apparentemente più indifeso ed innocente si può trasformare nella mano che impugna la pistola fumante con cui un Samuel L.Jackson in baby doll e il viso d'angelo di Juno Temple finisce per recitare in religioso silenzio il versetto di Ezechiele 25-17 con cui far cadere, sui nemici dell'innocenza tradita, il suo "furiosissimo sdegno e la sua grandissima vendetta".
Killer Joe (2011): Juno Temple
Tra cinismo, esasperazioni tragicomiche e feroce sarcasmo, Friedkin ci presenta un film divertente e dissacratorio, attraversato da personaggi inutilmente ribelli e votati al fallimento (la faccia da bravo ragazzo dell'Emile Hirsch di 'Into the Wild'), colpevolmente ignavi (uno straordinario Thomas Haden Church), subdolamente psicopatici (Matthew McConaughey), spregiudicati doppiogiochisti (Gina Gershon) o fintamente virginali (Juno Temple). Presentato in concorso al Festival di Venezia 2011 ed alla 36a edizione del Toronto International Film Festival.
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