Regia di William Friedkin vedi scheda film
Esiste una manciata di meravigliosi registi di cui difficilmente potrei riuscire a scrivere qualcosa in modo obiettivo, freddo e ragionato, distaccato e matematico, senza farmi travolgere dall'impeto dell'emozione, anche preventiva, che mi assale quando sto per affrontarne l'ultima prova che si affaccia alla fruizione popolare (per ora ancora un miraggio nel nostro paese, mentre e' uscito oggi nella vicina Francia). Tra questi cineasti, oltre a De Palma, Polanski, Lynch, De Oliveira, Cimino e pochi altri ancora, inserisco senza alcuna esitazione William Friedkin, di cui ho amato, spesso in modo diverso, ma ugualmente totalizzante, pressoché tutte le opere cinematografiche. Killer Joe e' comunque, obiettivita' a parte, un grandissimo film, di quelle opere scientemente old style, anni '70 che ti spiazzano con riprese lunghissime caratterizzate da un crescendo di tensione tutta emotiva e costruita sui volti, sui caratteri e sulla cattiveria dei personaggi che le popolano. Si perche' Killer Joe e' innanzi tutto un film cattivo e maligno, perverso come lo sono state certe opere considerate minori del grande regista, cult preziosi come "L'albero del male", "Rampage" (pur massacrato dalla produzione), lo stesso "Jade", sceneggiato dal Joe Eszterhas di Basic Istinct, ma decisamente piu' caldo e sporco del patinato (e ben piu' fortunato) thriller con la Stone; e naturalmente il controverso magnifico ed ostico Bug, guarda caso inedito da noi.
Un film, Killer Joe, che segna il disfacimento definitivo della famiglia e dei suoi valori tradizionali, trasformata per opportunismo e vigliaccheria solamente in un punto di incontro dove ecogitare bislacchi e strampalati piani diabolici per intascare dei soldi a danno di persone piu' deboli.
Questo accade alla famiglia Smith, nucleo che ruota attorno ad una casa prefabbricata che si affaccia sul niente di un cortile fangoso, tra i latrati infiniti di un cane alla catena. All'interno un figlio ventenne, Chris, in perenne ricerca di soldi per pagare lo strozzino di turno che lo cerca (e lo mena a sangue), la giovane sorella Dottie, nei cui confronti il primo nutre sentimenti deviati al limite dell'incesto, un padre muscoloso e potente fisicamente, ma altrettanto inerme caratterialmente, una matrigna zoccola senza speranza; e infine naturalmente Killer Joe, poliziotto garbato di giorno, sicario spietato di notte per raccimolare denaro extra; Joe che fa parte ormai della famiglia in quanto la bella Dottie e' stata offerta come caparra al killer in cambio di meta' del premio assicurativo che la giovane dovrebbe incamerare non appena questi avra' eliminato, abilmente e senza destare sospetti, la balorda madre naturale dei due ragazzi.
Non ci sono ne' saranno vincitori, come spesso accade nelle opere di Friedkin ed anche qui, piu' che mai, tra volti lividi dalle botte, meschinita' di ogni tipo per fregarsi a vicenda uno con l'altro e terminare in bellezza in uno dei finali piu' "schizzati", violenti e pulp dai tempi de Le iene. Tutto quanto nelle mani di un regista che sembra ringiovanire piu' passa il tempo, anche quando sceglie deliberatamente le vie del cinema all'antica, senza un solo effetto speciale, animato solo dalla voglia e dalla capacita' di sorprenderci con la forza delle immagini e l'abilita' nell'orchestrare ritmo e ed azione costruita su maschere così bieche e calcolatrici da farci paura. Infatti non uno dei personaggi e' meritevole di redenzione: nemmeno la pseudo-fatina di Dottie, ne tanto meno quel falso ingenuo di Chris.
Attori in stato di grazia, tra i quali mi piace segnalare una Gina Gershon che ho sempre reputato all'altezza di ruoli cosi' eccezionali come quello che qui cosi' magistralmente riesce a caratterizzare (e la scena della fellatio a Joe con la coscia di pollo fritto passera' alla storia, credetemi, non puo' essere diversamente).
Matthew McConaughey grazie a Friedkin centra finalmente il ruolo della sua vita. Altro che lo spogliarellista del film di Soderbergh: la sua interpretazione e' impeccabile e il suo personaggio fa davvero paura; ma e' il mondo intero che fa paura; Friedkin se ne' accorto da ormai oltre quarant'anni e ce lo sta dicendo, di film in film, incessantemente e senza perdere il ritmo e la verve dei gloriosi anni '70 che lo hanno visto giganteggiare insieme a pochi altri.
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