Regia di Qasim Basir vedi scheda film
Qasim Basir, il giovane regista di questo film, si fa chiamare “Q”. E Tariq, il ragazzo musulmano protagonista della storia, per gli amici è semplicemente “T”. Vuole nascondere il suo nome arabo. Perché abita a Detroit, ed è appena entrato in un college, dove i suoi coetanei organizzano feste a base di musica rock, in cui si bevono alcolici e le ragazze ballano abbracciate ai ragazzi. Qasim/Tariq non si vergogna della sua fede; solo non capisce le imposizioni a cui, fin da piccolo, lo ha assoggettato il padre, che, oltre ad aver costretto lui e sua sorella ad una rigorosa osservanza delle prescrizioni religiose, lo ha sottratto all’affetto della madre per inviarlo in un collegio islamico. Dove l’hanno obbligato a studiare a memoria una pagina di Corano al giorno; e dove è stato frustato per essere uscito, la notte di Halloween, a fare il giro del trick or treat. Tariq vuole poter credere nel suo Dio senza sentirsi diverso, senza essere malvisto e punito, dai suoi e dagli altri, per quello che mostra di essere o che decide di fare. Trincerarsi dietro l’iniziale del suo nome è come autosospendersi, equivale ad annullare temporaneamente la propria identità in attesa della necessaria chiarificazione. Il bisogno preliminare di comprendere i due mondi contrapposti tra i quali è sempre vissuto, e di trovare, all’interno di essi, la sua giusta collocazione, lo blocca di fronte ad ogni iniziativa. A seconda dei casi, si ritira nella solitudine, o si lascia trascinare dai compagni, perché è sprovvisto di criteri propri in base a cui scegliere autonomamente come comportarsi. Tariq è il classico figlio della tradizione intesa come disciplina, che regolamenta la vita secondo leggi esterne all’individuo, sostituendosi al giudizio della sua coscienza, ed alle inclinazioni del suo carattere; l’educazione che ha ricevuto è come il puntello che fa crescere diritti, ma impedisce lo sviluppo dei muscoli dorsali. Diventa così impossibile mantenersi in equilibrio, in una realtà divisa, che è naturalmente incline a sottolineare le differenze e sfrutta ogni pretesto per esasperare le distinzioni. La disciplina e l’equilibrio sono gli opposti versanti del discorso religioso, che rappresentano, rispettivamente, l’ordine e la pace: apparentemente due sinonimi che, però, vedono l’uomo in due ruoli distinti, ossia rispettivamente, come oggetto di un sistema, e come soggetto di una comunità. Sono questi due diversi modi di interpretare il senso di appartenenza che, tuttavia, Tariq, a causa della sua esperienza personale, è indotto a sovrapporre. Così anche la semplice classificazione come musulmano e la partecipazione all’associazione degli studenti musulmani risultano, ai suoi occhi, temibili manifestazioni di un inquadramento che è nemico della libertà. Per questo motivo egli ritiene che ogni ufficialità data al suo credo lo esponga pubblicamente alle critiche, ai pregiudizi, alle discriminazioni ed, in generale, a tutte le insidie che si celano dietro le varie forme di settarismo. La prova decisiva avverrà per Tariq con i tragici eventi dell'11 settembre 2001, e il conseguente scoppio di una guerra di fronte alla quale non potrà più rendersi invisibile, perché essa lo minaccerà da vicino, costringendolo a schierarsi, a combattere per difendere sé e i propri amici e familiari dall'odio contro i musulmani. Solo allora Tariq avrà l'occasione di diventare una persona adulta, pienamente consapevole del proprio essere e responsabile delle proprie scelte. In fondo, il film, nella sua delicata incisività, parla proprio di questo: del percorso che fa di un ragazzo un uomo, vale a dire un individuo che non ha paura di fregiarsi delle insegne della propria fede anche davanti a chi, con superficialità e disprezzo, ne storpia il nome, e lo chiama Mooz-lum (muslàm) anziché Muslim (màslim).
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