Regia di Emmanuelle Bercot vedi scheda film
Prostituirsi per poter studiare. Non è una vicenda proveniente dall’emarginazione del terzo mondo. La protagonista è Laura, una diciannovenne francese iscritta al primo anno del corso di laurea in lingue di un’università parigina. Che, un giorno, decide di incontrare a pagamento uomini sconosciuti, contattati tramite un sito internet. Solo per guadagnare i soldi che le servono per pagare l’affitto della stanza, le bollette, i libri, il cibo. Quella narrata da Emmanuelle Bercot è, apparentemente, una storia vera, tratta dal racconto autobiografico di una giovane donna che desidera rimanere in incognito, e si firma come Laura D.. E il film è una cronaca dettagliata della sua esperienza, ossia delle perverse pratiche sessuali a cui è costretta a prestarsi per far quadrare il bilancio. La narrazione è così crudelmente esplicita da escludere, a priori, ogni possibile compiacimento. Allo stesso modo, però, il suo carattere diretto e anodino fa perdere il senso del racconto, che non si sa se voglia essere un’opera di denuncia sociale, una provocazione antiborghese, una confessione che diventa un monito, oppure se si tratti della pura e semplice rappresentazione di un terribile e doloroso errore. Lo stile di questo film è un realismo fermo sulla propria posizione di neutralità, che ha forse troppa paura di tingersi di moralismo per spingersi oltre il mero resoconto degli eventi. L’obiettivo si posa con uguale freddezza sulla carnalità mercenaria e sull’amore spontaneo, come se fossero le due manifestazioni complementari di uno stesso fenomeno, che risponde ad un’unica, universale legge del desiderio: un desiderio che depone ogni connotazione etica e sentimentale, e si confonde brutalmente con la necessità materiale, fisica, psicologica. Forse questo Student Service è davvero un film indifferente, che non vuole assolvere nessun particolare compito, se non quello di aprire una finestra sull’ennesima insignificante curiosità: una delle innumerevoli particelle volatili in cui si è dissolta, ormai, quella che una volta si chiamava l’attualità. E che oggi è stata sostituita dal flusso incontrollato di tanti fatterelli che non sono più buoni nemmeno a fare scandalo: tanti brevi inserti, a metà strada tra lo spot e il reportage, che non ci chiedono nient’altro che qualche fuggevole secondo di attenzione.
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