Regia di Tanya Wexler vedi scheda film
L'isteria o del piacere (pro)curato.
A dar stupidamente retta a rumors, articoli di giornali e servizi di tg (che non vedono l’ora di buttarsi a capofitto in argomenti gossippari e allusivi), ma soprattutto ad un trailer concentrato prevalentemente a solleticare certi appetiti pruriginosi, s’è indotti a ritenere Hysteria un allegro motivetto per organi meccanici agita(n)ti solisti: del come nacque cioè il vibratore.
Uh, apriti cielo (e apransi gambe): sesso sesso e ancora sesso. Ma con giocosità: il fallico oggetto stimolante da sempre s’accompagna a risatine e occhiate complici e ricche di sottintesi che poi si trasformano in battutine idiote e risapute.
Per fortuna un soggetto come questo è finito nelle mani e nelle menti di chi sa - da sempre - fondere l’umorismo con temi (più o meno) importanti, la satira con riflessioni storiche, aplomb inappuntabile con circostanze grottesche e sconvenienti: gli inglesi. Si pensi ad esempio quale livello di beceraggine arretrata si potrebbe raggiungere se a premere i pulsanti fossero gli attuali, “sapienti” italici “autori” di commedie.
Ciò che nel film di Tanya Wexler emerge subito, e con forza, ancorché esposta attraverso il filtro dell’irresistibile spirito tipicamente british, è la condizione della donne. I fatti narrati si svolgono infatti durante l’epoca vittoriana. Le donne sono “solo” femmine, utili solo al soddisfacimento di ogni pretesa maschile, e prive di diritti: di voto, di avere bisogni propri, di pari dignità, di provare piacere. Ecco, quest’ultimo punto è di non poca rilevanza, la cui dimostrazione è affidata, genialmente in tutta la sua brutale nonchalance, all’espressione di distaccato e ingenuo candore dell’ignoranza mista a misoginia del dr. Dalrymple (lo strepitoso Jonathan Pryce), quando afferma che è impossibile che le donne traggano piacere da un qualsiasi atto che non sia unicamente la penetrazione. Quello che egli provoca, nelle faticose e lunghissime sedute “curative” massaggiando le vulve delle pazienti “malate“, viene definito “parossismo”. Che (non) fa rima con orgasmo.
La terapia della stimolazione manuale dell’utero come trattamento della diagnosi dell‘isteria (inesistente - ma ci vorranno molti decenni affinché sia riconosciuta ufficialmente tale): unica e “prenditutto” spiegazione degli (apparentemente) instabili e incomprensibili comportamenti femminili. Riconducibile, invece, nella quasi totalità dei casi, all’insoddisfazione nascente dalla cronica incapacità dell’uomo a contentare sessualmente la propria compagna.
Le figure delle due figlie del dr. Dalrymple assolvono compiutamente alla descrizione dei tempi e dei costumi: la prima, Emily, è fedele al genitore, del quale ne asseconda ogni desiderio (tra i quali lo studio della frenologia); l’altra, Charlotte, è ribelle, aggressiva, volitiva nella sua determinazione ad accogliere e sviluppare le “pericolose” istanze femministe.
Il personaggio del dr. Mortimer Granville, assistente di Darlymple ed accidentale inventore del vibratore, è il classico bravo ragazzo, con idee progressiste osteggiate (l’attenzione per l’igiene negli ambienti medici) e una confusione crescente di fronte alla complessità e all’intraprendenza delle donne (praticamente il prototipo del maschio moderno). O meglio: “meravigliosamente borghese”, come lo apostrofa l’impagabile Rupert Everett - Lord singolare interessato alla tecnologia e alla “dissipazione morale”. Un ruolo fantastico condotto da Everett in maniera semplicemente magistrale: ad ogni sua espressione, battuta, mossa non si può resistere. Anzi, peccato che non abbia avuto maggiore spazio.
La storia - e con essa i suoi risvolti sociologici - s’avvolge armoniosamente in un’atmosfera brillante, carica di quegli impareggiabili umori caustici e sferzanti, sempre diritti al bersaglio (tutte le ipocrisie della cosiddetta “civiltà”), che assicurano una tenuta convincente e stabile. Una comicità intelligente - mai volgare o patetica - che non sovrasta né deprime i sottili fili della narrazione.
Insomma, si ride di gusto senza per questo astrarsi da quanto viene abilmente raccontato.
A rendere Hysteria un'opera un’opera preziosa - per quanto non esente da difetti (il finale un po’ prevedibile e sdolcinato) - contribuiscono diversi fattori: l’ottima cura per la ricostruzione di ambienti e costumi; musiche non invadenti; regia discreta e dedita alla causa; fotografia notevole e suggestiva (spettacolari certi “quadri” di beltà agreste). E, ovviamente, la recitazione.
Se Jonathan Pryce e Rupert Everett sono magnifici nella loro superba, e divertita partecipazione, più che buona è la prova offerta anche dagli altri interpreti: un’intensa Maggie Gyllenhaal aderisce con spigliata “naturalezza” al ruolo di Charlotte; Hugh Dancy risulta credibile ed efficace (la sua parte è quella che più poteva prestare il fianco alla farsa); Felicity Jones è brava e maledettamente deliziosa.
In conclusione, un film da vedere.
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