Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film
“Dalla lettura del romanzo di Bacchelli si ricava, alla fine, un'immagine viva e completa della vita italiana ed è questa la ragione per la quale ho accettato con entusiasmo la proposta della Lux di ridurre per lo schermo il terzo volume dell'opera." Alberto Lattuada
"Il protagonista del film, che è il popolo degli agricoltori italiani, esce dal racconto senza un accento di chiusura, esce gridando che vuole giustizia e si perde nel futuro, sempre incerto, della sua storia.
Ed anche l'amore non può trovare luogo degno di accoglienza in tanto ribollire di odi e il frutto amaro di questa lotta senza fine, purtroppo sempre concreta nelle sue ragioni e cause, è in questa negazione tragica di requie.
Che se in Manzoni prevalse un pessimismo temperato da fiducia nella superiore provvidenza, in Bacchelli, classico scrittore del nostro tempo, questa consolazione non c'é: egli riscatta la tragedia nel lirismo e si illumina della sola speranza, la quale non può spegnersi se non con la distruzione dell'uomo.
Ed ecco perché il film pur essendo in costume, mi pare attualissimo.
Alberto Lattuada
Era il 1949 quando Lattuada girava Il mulino del Po dal terzo volume,Mondo vecchio sempre nuovo, del romanzo di Riccardo Bacchelli.
“Poema molinaresco” l’aveva chiamato l’autore, perché ha il respiro epico delle grandi saghe poetiche nate con gli eroi di Troia e molinaresco per ricordare i mulini ormai scomparsi dall’orizzonte del Po.
La lunga storia della famiglia Scacerni, mugnai sul Po alla Guarda Ferrarese, iniziata con il capostipite Lazzaro sul fiume Vop, durante la ritirata di Russia delle truppe napoleoniche nel 1812, si conclude per estinzione con la morte del pronipote Lazzaro, sul Piave, nel 1918.
Da guerra a guerra il Po era stato il baricentro di una vicenda secolare, le sue piene avevano modificato il corso del fiume e la storia della famiglia, uomini e donne erano vissuti, avevano procreato, erano morti, anche di morte violenta, e il grande fiume aveva continuato a portare indifferente la sua acqua al mare, ora placido e sonnolento, ora infuriato e incontrollabile.
Il Po, oggi il “Grande Dimenticato”, come lo ha definito Paolo Rumiz, negli anni quaranta vide nascere il grande cinema italiano.
In quel periodo difficile, sullo scorcio del ventennio fascista, durante la guerra e dopo, negli anni della ricostruzione, le terre polesane furono il polo di attrazione di un cinema che, da Visconti ad Antonioni, a Soldati a De Sanctis, Vancini, Rossellini e, andando avanti, Avati, Olmi e Mazzacurati e ancora fino a oggi, non smise mai di porre su quelle terre e quelle acque i migliori set per raccontare la storia d’Italia per quello che era veramente stata.
“Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi” è il titolo della grande mostra curata da Alberto Barbera a Rovigo quest’anno, 2018, che ha raccolto oltre 500 tra film, documentari e fiction televisive
Le storie del grande fiume sono riemerse, i protagonisti hanno raccontato.
Il film di Lattuada sceglie la terza parte del romanzo di Bacchelli, molto è già successo agli Scacerni, ora, alla fine del secolo, sono sempre sul Po con quel vecchio mulino, il San Michele, e l’antica miseria.
L’odiosa tassa sul macinato li costringe a difendersi con mezzucci illegali e la madre Cecilia (Isabelle Riva) provvede a manomettere il dispositivo per contare i giri delle macine.
La finanza arriva di notte all’improvviso, Princivalle (Giacomo Giuradei), grande, grosso e picchiatello, dà fuoco alla macina per scongiurarne la confisca, ma lo prendono e lo portano in galera.
Arrestato lui che era il pilastro della famiglia, gli Scacerni scendono all’ultimo gradino della miseria.
Berta (Carla Del Poggio) è costretta a fare la serva dai Verginesi, il matrimonio con Orbino Verginesi (Jacques Sernas) contadino del ramo povero che lavora nell’azienda di famiglia, è rimandato, i destini individuali si scontrano con forze molto più grandi di loro e ne vengono travolti.
Fine '800, le idee socialiste si stanno diffondendo, c’è aria di sommossa in giro e la lotta di classe iniziava così, con le prime Leghe contadine, nell’Italia depressa del delta padano.
Il padrone delle terre Verginesi, in stretta alleanza con la borghesia terriera della zona, storica alleata di Mussolini insieme agli industriali del Nord, vuol piegare i contadini con la forza e tesse trame per trovare alleanze che li indeboliscano dall’interno.
Offre ad Orbino una mezzadria che gli permetterebbe di sposare Berta, ma divisioni e lotte fratricide tra poveri porteranno all’epilogo tragico.
Berta viene percossa e insultata dai contadini del posto perché la famiglia Scacerni non è solidale con gli scioperanti, troppe ipoteche e ricatti dal principale fornitore di granaglie pesano sul mulino e Orbino è trattenuto con la forza dai suoi e separato da Berta che si rifugia nel mulino. Princivalle parte come un toro infuriato per difendere il presunto onore tradito della sorella e uccide Orbino.
Il padre della letteratura verista, Giovanni Verga, è l’ispiratore inesauribile anche di storie lontane dalla Sicilia dei Malavoglia, gente condannata dall’ipoteca della storia ad essere protagonista e spesso vittima di una lotta di classe che mal individua il suo obiettivo ( “all’aria ci vanno i cenci” della novella Libertà fa eco da lontano alla faida che accanisce Princivalle contro Orbino).
I tentativi di riscatto dalla miseria secolare attuati dalla gente di campagna finiscono sull’argine del fiume con l’ordine di sparare contro i contadini in sciopero, la vicenda individuale (il matrimonio mancato, il disastro del mulino, la morte di Orbino) convive con la protesta sociale, le prime lotte dei contadini del delta del Po sono storia vera destinataa registrare capitoli di violenza e sopraffazione ancora per molto tempo.
Il film raccolse all’epoca molte critiche, racconta Carlo Lizzani, allora giovane aiuto regista, “… da destra perché in ambienti borghesi si era diffusa la convinzione che le fasce più povere e umili della popolazione fossero le protagoniste quasi esclusive delle narrazioni cinematografiche italiane, circostanza in tali ambienti ritenuta dannosa per l’immagine del nostro Paese nel mondo, da sinistra perchè si pensava che il finale assai pessimistico del film fosse di nocumento alla causa delle lotte sociali portate avanti dalla sinistra stessa.”
Lattuada aggiunge “Dalla lettura del romanzo di Bacchelli si ricava, alla fine, un'immagine viva e completa della vita italiana ed è questa la ragione per la quale ho accettato con entusiasmo la proposta della Lux di ridurre per lo schermo il terzo volume dell'opera.
Nella letteratura italiana moderna, anche quella dei migliori scrittori, la nostra società appare sempre rappresentata in caratteri individualistici o al più in caratteri di una sola classe, ed é così che nella mente dell'italiano le nostre provincie sono perennemente popolate di farmacisti, medici condotti, contadini ipocriti, marescialli dei carabinieri. Può darsi che le secolari tradizioni auliche dei nostri scrittori abbiano ostacolato un vero accostamento sociale alla vita del popolo e qui, penso, sarebbero da cercarsi le cause che ritardano indefinitamente la fioritura del nostro romanzo. L'incontro con Bacchelli mi ha dato la possibilità appunto dì restituire al popolo italiano un'immagine propria di dimensioni inconsuete, di grande dignità e altezza morale, di vedere con chiarezza espressi i tormenti e le passioni di una società in continuo fermento, spinta e risospinta, dalla povertà, alla ricerca di impossibili assestamenti ed equilibri, di rappresentare il dramma obiettivo che è di tutti i tempi e, ancor oggi, del nostro.
Per questo film la preparazione é stata lunga e molto accurata, e la lavorazione lunga, faticosa. Quando uscì fui attaccato da destra e da sinistra; da sinistra perché, dicevano, non avevo risolto con una indicazione precisa la strada da seguire, da destra perché avevo girato uno sciopero talmente provocatorio per l'epoca, eravamo nel'48, per cui nei cinema l'aria vibrava di una tensione simile a quella di quelle scene piuttosto rovente.
In quel momento, insomma, so e sono orgoglioso di aver scontentato un po’ tutti, perché avevo presentato in pratica la condizione dell' Italia.”
Polemiche italiote che il film si è scrollato come polvere di dosso se oggi continuiamo ad amare quei personaggi e a tremare per loro.
E chissà oggi, ma una volta i fiumaroli credevano che l'anima di un annegato può aver pace soltanto quando il fiume lo restituisce alla persona amata.
In un gomito del Po ferrarese di solito riaffiorano gli annegati ed è lì che Berta raccoglierà il corpo dell’amato Orbino.
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