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Il mulino del Po

Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film

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La recensione su Il mulino del Po

di scandoniano
8 stelle

Uno degli ultimi gioielli neorealistici, dalle tonalità che richiamano Verga e un realismo esasperato, anche nella messa in scena di un Alberto Lattuada ancora lontano dal trovare la sua dimensione definitiva. Fellini è co-sceneggiatore, Ildebrando Pizzetti a curare le musiche.

 

Una famiglia di mugnai, matriarcale, con la bella figlia Berta neo promessa sposa e il possente Princivalle dedito solo all’attività del mulino, rappresenta un punto di riferimento per la piccola comunità dell’Oltrepo ferrarese di fine ‘800. Nel paese vige prevalentemente l’attività contadina, in cui i padroni però sfruttano i braccianti in maniera eccessiva, tanto che la neonata Lega socialista prova a fare la rivoluzione, partendo da uno sciopero. Gli Scacerni, i mugnai, già vessati dal Governo di Umberto I, che controlla sistematicamente la loro produzione tramite un apparecchio che conta i giri del mulino ad acqua, per cui vanno in rovina per non andare in galera, faranno i crumiri, attirandosi addosso le ire della comunità e disonorando Berta, promessa al primogenito dei Verginesi, Orbino, tra le famiglie più vicine alle posizioni della Lega.

È un’epoca complicata quella in cui è ambientato “Il mulino del Po”. Leggi governative vessatorie, capitalismo terreno incipiente, miseria, poteri forti. A complicare le cose anche l’ambientazione paesana, nella quale tutti sanno tutto e le notizie viaggiano in fretta.  Attorno alla storia di Berta e Orbino dunque sono tante le difficoltà, tanto che il matrimonio tanto vicino ad inizio film, finisce per tardare a venire, fino ad essere sempre più lontano.

 

 

Variabili sociali, caducità umana, destino crudele. La componente verghiana che dalla letteratura de “I Malavoglia” ha ispirato tanto cinema neorealista (fino al di poco precedente “La terra trema”) , è tradotta qui da Lattuada, ancora lontano dal trovare la sua collocazione definitiva nel cinema, con un realismo esasperato, un’aderenza fedele alla realtà dissestata dell’ambientazione ed un’attenzione speciale ai conflitti psicologici e sociali dei personaggi. L’altro estremo, insieme a quello viscontiano citato, a cui associare “Il mulino del Po” è “Riso amaro”, coevo ma ancora più spinto verso situazioni che porteranno il cinema italiano fuori dal Neorealismo definitivamente (se no altro per artifici tecnici che in questo film di Lattuada non si vedono). Uno degli ultimi gioielli neorealistici dunque, prima che l’Italia cambi registro, col plebiscito della DC che aprirà un nuovo capitolo del cinema nostrano.

Un film crudo e significativo, che si è avvalso di collaborazioni illustri: un giovane Fellini ha scritto la sceneggiatura (insieme a Tullio Pinelli), mentre il maestro Ildebrando Pizzetti (quello di “Cabiria”, per intenderci) ha curato le musiche.

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