Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Hugo Cabret è un ragazzino che vive negli anfratti di una stazione ferroviaria parigina da quando ha perso entrambi i genitori: regola i grandi orologi delle sale, e a tempo perso cerca di far funzionare un automa progettato per scrivere e finito nei magazzini di un museo; un vecchietto (che per la prima mezz’ora resta senza nome) ha un chiosco dove vende giocattoli meccanici: quando vede gli appunti di Hugo relativi all’automa, i suoi ricordi riemergono. Scorsese realizza un film che sembra pensato da Spielberg (e non lo considero un complimento): la lagrimevole historia di un povero orfanello in cerca di padre putativo, un uomo che si riconcilia con il proprio passato, la celebrazione della magia del cinema. Tuttavia, nonostante la confezione visivamente smagliante (e un po’ soffocante), qui di magia ce n’è ben poca: è tutto troppo prevedibile, troppo costruito, senza veri drammi (anche il terribile ispettore non è poi tanto terribile); la vicenda si affida a idee scontate (la chiave a forma di cuore, pensa un po’) ed è inutilmente tirata per le lunghe; la cinefilia è sincera ma si limita ad ammiccare a uno spettatore che si suppone sappia già tutto. In una parola: il regista non ha saputo trasmettere le proprie emozioni.
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