Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Questa è la storia di un precocissimo attore del nostro tempo. Un attore dotato di capacità straordinarie, dapprima sottovalutate e, poco per volta, apprezzate come meritano: Hugo Cabret?
Macchè. Il “Cinema”!
Hugo Cabret (A.Butterfield) è, piuttosto, il piccolo, ma preciso, guardiano del tempo; colui incaricato di portare indietro le lancette della storia per restituire lustro e dignità a chi la storia (quella del cinema, per l’appunto) l’ha fatta. Georges Méliès…. E, nel suo (immensamente grande) piccolo. Martin Scorsese.
Trasversali agli ultimi 100 anni (e più) di storia della civiltà contemporanea, l’intraprendenza e le velleità del primo ideatore di favole della storia del cinema e quelle di chi ha già fatto molto per dimostrare di meritare il passaggio di testimone (benchè sia stato raro che ad ispirarlo fosse proprio la musa della fantasia e del sense of wonder) si raccordano per mezzo di un fil rouge robusto, ma non così evidente. Fino ad oggi, come dimostra, da (pen)ultimo, questa bella storia senza tempo, edificante e ricca dei cromatismi di cui sono fatti i sogni.
Hugo Cabret (il film) racconta, sì, una favola, ma non quella cui ci si aspettava di assistere.
Hugo Cabret (il film) racconta, sì, una storia, bensì asincrona rispetto a quella del giovanissimo protagonista che concorre a rievocarla. Una storia, nondimeno, che rifugge rigide coordinate spazio-temporali e che ha buon gioco nella ciclicità del tempo. La ciclicità è il tempo.
Di fronte al ricordo di un passato angosciante. Di fronte al fluire di un presente instabile. Ove il futuro sia tutto un affanno - per il funzionamento di un automa - che è un’ossessione di un bambino. E l’ossessione di un vecchio. Per un passato glorioso eppur crudele. Per un presente appassito. Per un futuro privo di orizzonti…
Il comparto emozionale, dal canto suo, non poggia su trame ricattatorie, né sconfina oltre la soglia della stucchevolezza. Ma il ritmo, oggettivamente, langue a più riprese. La narrazione, a volte, incede con lentezza e prima che la magia subito catturata dagli occhi dei più piccoli venga avvertita anche dai più grandi (messi al cospetto con le reali intenzioni di Scorsese) il racconto della fiaba, attardandosi su aneddoti marginali, consuma qualche momento di stanca di troppo.
Ma, nella lunga notte, color della fiaba, dipinta dal nostro amato demiurgo, l’onirismo non si liquefa come neve al sole. Esaltato da un grandioso tripudio visivo - un contemporaneo tributo ad un altro florilegio di surrealismo magico - esso permea quasi tutto il racconto. Così, il sapore di favola non svanisce con facilità. La gratitudine è un sentimento sincero e duraturo. Ma l’alone dell’imperfezione appanna la meraviglia che, con più coraggio, avrebbe potuto essere.
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