Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Se è vero che i Lumières hanno inventato il cinema, è altrettanto indubitabile che Georges Méliès sia colui che ha infuso la fantasia nell'invenzione dei fratelli francesi. Per questo, va a lui imperitura riconoscenza da parte di tutti gli amanti della settima arte e in particolare di coloro che del cinema apprezzano la capacità, per dirla con i termini di Hugo Cabret, di dare forma ai sogni.
Detto questo, devo ammettere che il film di Scorsese mi ha lasciato letteralmente esterrefatto, anche perché per un lungo periodo ho ritenuto il cineasta italoamericano il più grande regista vivente. È pur vero che nessuno dei suoi film successivi allo stupendo Casino (1995) mi ha completamente convinto, ma mi riesce difficile riconoscere la mano dell'autore di Mean Streets, di Quei bravi ragazzi e perfino di Kundun in quella che ha diretto questa fiaba che non si capisce se sia diretta ai grandi o ai piccoli, infarcita di dialoghi sentenziosi messi in bocca ad antipatici saputelli, sbrodolante melassa, fastidiosa perfino per una bendisposta visione natalizia.
La parte migliore del film sono proprio gli originali di Méliès, riproposti nei colori rutilanti che affascinarono gli spettatori di cent'anni fa: per quanto mi riguarda, non riesco proprio a farmi piacere le fellinate proposte da un grande regista in vena di tarde riscoperte dei propri precursori artistici.
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