Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Cosa ha voluto dire, Scorsese, uscendo dai suoi schemi linguistici e visivi con il pluri premiato e osannato Hugo Cabret? Forse che riproponendo oggi la tecnologia innovativa (ma anche no) del 3D, la fantasia, l’immaginazione, la creatività esistono nel cinema già da cent’anni almeno? E ancora peggio, come dirà il personaggio della moglie di G.Melies, quando rievoca il passato: “Non eravamo star del cinema come quelle di oggi, ma ci siamo divertiti.” Il divertimento è stata una conseguenza dell’intuizione che porta dalla semplice riproduzione dell’immagine all’intrattenimento, ad una sua forma accettabile(e che trasformerà il cinematografo nel rito collettivo della visione). Se oggi creare ambienti virtuali privi della minima imperfezione, con dettagli inequivocabili, costruzioni di scenari studiati e sperimentati a tavolino che inevitabilmente si manifestano in anticipo sui contenuti per il loro forte accento visivo, si possa definire divertente, è lecito avere qualche dubbio. In questo momento storico abbondano i tributi sulla nascita del cinema e anche Scorsese non ha voluto fare mancare il suo apporto, probabilmente uno dei meglio riusciti. Rievoca la parabola di G.Melies che al contrario dei Lumiere intuì la grandezza e la potenzialità dell’invenzione del cinema. Hugo Cabret ha il grande merito della rievocazione non solo riproponendo i primi brevi film della storia, ma s’inventa e mostra un verosimile fuoricampo, il retroscena di allora, dove con accorgimenti primitivi “si ricreavano i sogni” e ci si divertiva più onestamente. In questi passaggi che si allontanano dalla storia del film, Scorsese offre il suo lato migliore, pieno di passione, vitale ed emozionante. Di certo il regista è lontano da oscure contraddizioni che regolano il bene e il male, non c’è colpa e tantomeno l’impossibile redenzione del suo mondo passato. Il fatto è che sembra votato a dire che il cinema esiste solo grazie alla favola, alla fantasia, all’intrattenimento puro e semplice, e che il 3D possa solo partire da questi contenuti per cercare nuovi significati. Poi in un intrigante gioco pieno di fascino fra echi e rimandi parla anche di sé, dell’amore per il cinema, anche del contrasto interiore dell’uomo che cresce e sperimenta, come un bambino, come uno scienziato, come l’automa della vicenda che con i suoi meccanismi e i suoi ingranaggi per funzionare ha bisogno di una chiave a forma di cuore…Tutto troppo bello per essere vero, e il film perde tensione emotiva, si sfilaccia fra un’universalità di buoni sentimenti, il senso del reale non esiste più, dietro la mdp non c’è più l’uomo, c’è un programma che sviluppa immagini. Scorsese opera un omaggio fatto bene e confezionato meglio, ma quella visceralità, quella carnalità spirituale del suo cinema non si vede. La brava Chloè Moretz, che interpreta Isabelle, la ragazzina amica di Hugo cosa ha in comune con la baby prostituta Jodie Foster di Taxi driver, a parte la stessa età? Imparagonabili, anche se è ingiusto mettere due film così vicino, ma lo sguardo del regista è unico, la realtà che ha ricostruito nello schermo ha fatto scuola, ci sono stati movimenti cinematografici e culturali che hanno modificato la percezione visiva, hanno portato alla luce soggetti e contenuti che sono diventati simboli assoluti, Scorsese ritorna all’ingenuità dell’infanzia, quando ormai lo sguardo si è sporcato e non poco..
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