Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Hugo Cabret, attesa prima incursione di Martin Scorsese nella stereoscopia 3D, ha inizio con l'immagine di un incastro di circuiti meccanici che sfuma nella panoramica aerea di una Parigi anni '30 notturna illuminata e nevosa; l'inquadratura si allarga subito, spaziando dall'Arco di Trionfo alla Tour Eiffel per planare poi all'interno della vicina stazione di Montparnasse, infilarsi tra due treni volteggiando tra la gente lungo il corridoio, dunque risalire e puntare la vetrata dell'orologio che domina l'atrio, davanti alla quale concludere la propria corsa stringendo in un primissimo piano il volto attento e guardingo di un adolescente che da lì dentro osserva i presenti: una scena di un minuto o poco più, con anche un paio di stacchi - uno evidente, l'altro coperto dai fumi delle locomotive - ma di grande impatto e vertiginosa bellezza, che senza bisogno di sprecare parole introduce lo spettatore nell'atmosfera fiabesca e sospesa (ma mai irreale) che dominerà l'intera pellicola.
L'adolescente in questione è Hugo, ha dodici anni ed è l'ultimo nato di una stirpe di orologiai, e tra i cunicoli della stazione ci vive in clandestinità da quando l'adorato padre è morto in un incendio e di conseguenza lo zio, ubriacone e volgare unico parente rimastogli - stanco di una vita passata lì a garantire regolarità alle lancette che scandiscono il tempo per ogni viaggiatore, ha preso la palla al balzo per trovare in lui un rimpiazzo e dileguarsi tra fiumi di alcool.
Barcamenarsi nascosto e solo è duro per il ragazzo, costretto a fuggire dalle grinfie di un ispettore della polizia ferroviaria la cui unica ambizione nella vita pare esser quella di dare la caccia - spalleggiato dal proprio inseparabile dobermann, suo unico amico - agli orfanelli disperati che rubano per mangiare: come Hugo, al quale però non interessa solo raccattare cibo, ossessionato com'è dall'idea di portare avanti il lavoro iniziato col padre, ossia la riparazione di un futuristico automa da questi scovato a prender polvere tra gli scarti del museo in cui era impiegato; e la sola maniera per reperire gli ingranaggi utili allo scopo è quella di sgraffignarli tra le cianfrusaglie vendute dal negozio di giocattoli sito proprio sotto il suo 'domicilio'. Ma all'ennesimo goffo tentativo di furto il padrone del locale lo becca con le mani nel sacco, costringendolo a consegnargli la refurtiva e con essa il suo prezioso taccuino, scritto dal padre e recante appunti fondamentali per aggiustare il misterioso 'uomo di metallo': la lettura dello stesso sconvolge però l'anziano mercante, che arriva a rifiutarsi di restituirlo nonostante il giovane ne recrimini la legittima proprietà.
Mai arresosi alla perdita di quel documento così prezioso, Hugo segue l'uomo fin sotto casa e lì - di soppiatto - fa la conoscenza di Isabelle, orfana a costui e consorte affidata, coetanea dalla cultura letteraria già sterminata e dalla vitalità contagiosa, e con lei intraprende un'avventura irripetibile ed indimenticabile che attraverso un viaggio nel passato del suo genitore adottivo - che lei chiama 'papa Georges' - giungerà fino alle radici della settima arte.
Sceneggiato da John Logan basandosi sul romanzo illustrato The invention of Hugo Cabret di Brian Seltznick, ispirato ad un vero pioniere del cinema fantastico (Georges Méliès), Hugo Cabret è diretto con una mano sul cuore da uno Scorsese in stato di grazia, che affabula e conquista con un racconto intenso ed edificante che è prima di tutto un omaggio sincero e sentito al cinema degli albori, che pone l'atto stesso del filmare - osservare ed inventare - come nucleo della narrazione, e sceglie il 3D come ponte - effetto speciale definitivo - tra oltre cent'anni di storia in celluloide.
Arricchito dallo score corposo e avvolgente del veterano Howard Shore e dalla fotografia pastello di Robert Richardson, che ben si sposa alle stupefacenti scenografie di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, Hugo Cabret è popolato da personaggi che riescono a vivere sullo schermo, interpretati con carisma da un manipolo di attori in gran forma: dall'ottimo Ben Kingsley, attorno al cui ombroso Georges e ai suoi segreti si sviluppa l'intero intreccio, alla brava Helen McCrory nella parte della devota moglie Jeanne, dal quattordicenne Asa Butterfield, il protagonista Hugo - testardo nel voler perseguire il proprio proposito e tenero nel costante ricordo del padre, alla pari età Chloë Grace Moretz, la vivace Isabelle - che cita Dickens ed Emily Brontë ma manca di esperienze di vita reale, dal grottesco Sasha Baron Cohen, perfetto nella parte dell'imbranato Gustave - l'ispettore che non sa sorridere, a Jude Law e Christopher Lee, impeccabili nei ruoli - minori - del padre di Hugo e del bibliotecario, senza omettere una citazione per lo stesso Scorsese e Johnny Depp - coproduttore con la sua Infinitum Nihil - che decidono di apparire in dei gustosi cameo.
Hugo Cabret è un florilegio di emozioni, un film genuinamente poetico, autenticamente romantico e mai melenso, visivamente maestoso ma mai inessenziale, un esercizio di metacinema ispirato ed appassionato capace di commuovere e far sognare ad occhi aperti.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta