Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Come in Le voyage dans la Lune il razzo s’abbatte sulla Luna-uomo, conficcandosi in un occhio, così la creatura di Martin Scorsese, Hugo Cabret, scaglia nei nostri occhi lampi di meraviglia, di magia, d’illusione. Lampi atavici che giungono, attraverso una complessa rete d’ingranaggi perfettamente funzionanti, laddove pulsano desideri e ricordi, travagli e speranze, bisogni e voglie d’avventura: il cuore. Ovvero la quintessenza dell’Arte cinematografica.
Quella di Scorsese non è mera operazione nostalgia, così come non è né spiccia filologia né sterile e saccente accademia. E l’effetto tributo a uno dei padri fondatori del cinema è un anello della catena concettuale che sta alla base del film. Hugo Cabret è una riflessione sul Tempo e sui tempi, è l’espansione/esplosione di echi lontani d’imprese ardimentose andate perdute nella memoria, è uno studio appassionato e appassionante sull’evoluzione della narrazione per immagini.
E', innanzitutto, un atto manifesto e sincero di fede e di amore di un cineasta allievo-professore, spettatore-regista, bambino-uomo. Costruttore di sogni. Fotografo di vite. Sì, la sua opera non è per ragazzi, non è per adulti: è per tutti. Perché tutti sogniamo e necessitiamo di sognare per vivere.
Lo stupore che dipinge e illumina i volti estatici di Asa Butterfield e Chloë Moretz alla visione del film di Georges Méliès è lo stesso che accompagna i nostri mentre assistiamo alle straordinarie gesta di Hugo, a quella sua innata qualità ed esigenza di riparare le cose e le persone, per non sentirsi soli, perché ognuno è un tassello indispensabile dell’intero meccanismo-mondo.
Hugo-Martin ce la fa: aggiusta anche noi, che abbiamo animi fiacchi, intorpiditi e occhi viziati da troppo nulla.
Superfluo persino soffermarsi sulla perfezione di ogni singolo componente, che concorre con un’armonia che non ha eguali alla composizione di questa fantastica, poetica, irripetibile esplorazione dell’universo-Cinema, delle sue origini e della sua tangibile sostanza.
Un doveroso plauso va all’eccezionale prova di Ben Kingsley, in uno dei ruoli migliori della sua carriera.
La regia di Scorsese è eccezionale, vorticosa, avvolgente, mai banale e precisa, fotogramma per fotogramma (“colorato” dal suo innegabile talento), alle prese per la prima volta con il 3D, che trova, finalmente (come in Pina di Wim Wenders), un senso logico alla sua “ri-esistenza”.
Chi afferma che qui lui sia lontano dalle sue abituali tematiche, non ha proprio capito un bel niente; è chi, evidentemente, i suoi film li ha (forse) visti ma certamente non guardati.
Voi guardate Hugo Cabret. E lasciatevi sbalordire.
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