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The Son of No One

Regia di Dito Montiel vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Son of No One

di alan smithee
6 stelle

Opera terza del buon regista, scrittore e pure musicista Dito Montiel, di padre nicaraguense e madre irlandese; film che potrebbe chiudere un trittico incentrato sul desiderio di riscatto di giovani del ceto piu' umile, dei ragazzi del ghetto popolare che grazie al carattere e alla forza di volonta' cercano a tutti i costi di emergere da un destino che li vede perdenti e destinati alla perdizione e allo sbando. Trilogia iniziata benissimo con il celebre "Guida per riconoscere i tuoi santi", cine-trasposizione del famoso romanzo dell'autore, proseguita con l'altrettanto riuscito (ed invisibile) "Fighting" sul mondo delle scommesse clandestine di box, fino a questa sua ultima prova del 2010, certamente la piu' debole, ma non priva di punti di interesse e di una sua storia emotivamente piuttosto coinvolgente.
Protagonista anche questa volta il Channing Tatum che grazie al regista e' ora uno dei volti giovani maschili piu' lanciati del momento, qui impegnato nei panni di un poliziotto dal passato drammaticamente burrascoso, riscattato dall'ingresso nelle forze di polizia a seguito della copertura - da parte di un anziano agente collega del padre defunto - di un doppio omicidio commesso ai danni di due spacciatori per difendere un amico oppresso e molestato dai due delinquenti.
La vita del nostro Jonathan sembra volgere al meglio, con una bella moglie ed una figlia nei confronti della quale egli si dimostra fin eccessivamente apprensivo. I guai tornano a galla quando l'agente viene trasferito nel quartiere natio, proprio nel distretto in cui vennero commessi i reati (rimasti ufficialmente impuniti) e una tosta giornalista rivela di essere a conoscenza da una fonte anonima dello scandalo che ha riguardato l'affossamento dei due omicidi quindici anni prima.
Un po' lambiccato in un via vai temporale non sempre efficace, interpretato da un Channing Tatum un po' imbolsito rispetto alle abituali prestanti condizioni fisiche e spesso mono-espressivo, il film tuttavia si puo' apprezzare per una certa continuita' stilistica con i due precedenti e per apparizioni straordinarie di un certo rilievo: un cast extra lusso che vede in primo luogo impegnati Al Pacino e Ray Liotta nel ruolo di due colleghi diabolicamente conniventi nel passarsi il testimone della guida di un distretto di polizia, una Juliette Binoche liquidata troppo presto cosi' da risultare purtroppo inutilmente grintosa e combattiva e una Katie Holmes un po' relegata a cornice, piu' bella che funzionale.
Fino ad un colpo di scena finale che aggiusta tutto lo sporco lavoro con una soluzione ancora piu' sporca e insanguinata: il riscatto sociale si paga in tal modo davvero a caro prezzo e la coscienza rimarra' impregnata indelebilmente di macchie per il nostro dolente sfortunato protagonista.

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