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Il mucchio selvaggio

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Il mucchio selvaggio

di scapigliato
10 stelle

Un gruppo di bambini gioca sorridendo. Poi ci accorgiamo che stanno godendo della morte che hanno provocato: i famosi scorpioni e formiche, inesistenti nella sceneggiatura e aggiunti solo durante le riprese su consiglio di Emilio Fernandez (Mapache).
Basta questa sequenza iniziale per portarci dritti nell'idea viscerale del film e del suo autore: la Violenza. Un western, si sa, mette in preventivo morti e duelli, divisioni manichee e quant'altro. Peckinpah, invece, ne "Il Mucchio Selvaggio" trasporta sul grande schermo, e più in generale trasporta in arte, il concetto puro di violenza, senza darle il solito e semplice ruolo narrativo, ma attribuendole il difficile compito di traduzione estetica di quel caos esistenziale di cui sono vittima gli antieroi del Mucchio. Capeggiati da un trascinante e malinconico William Holden, i nostri gunfighters bevono litri di violenza e morte da una vita, conoscono solo quella, e pur continuando a mentire a se stessi con il patetico "ultimo grande colpo", la cercano sempre. Quello che si evince dal film di Peckinpah, che non è soltanto un grande ed emozionante film western in sè, è soprattutto la decadenza di un mondo falsamente idealista, che ha fatto della loro ostentazione pura e semplice la tomba dei veri grandi ideali. Abbiamo infatti il mito della ferrovia, incarnazione del progresso americano (siamo dopotutto in un tardo selvaggio west del 1913 che riflette quello degli ultimi anni '60 del novecento) che invece abbruttisce e corrompe il fascino del mito della frontiera; abbiamo i rivoluzionari messicani che sono invece beceri, opportunisti e lontani anni luce dal mito romantico dell'eroe rivoluzionario; abbiamo gli antieroi del Mucchio Selvaggio che sono vecchi, stanchi, e pensano che sia ora di ragionare con il cervello che con le pistole; abbiamo i soldati americani imbranati e per nulla affidabili... Ma non è una sterile critica o un'irreversibile posizione pessimista davanti al mondo/cinema che avanza, come si potrebbe pensare ad una prima lettura, vista la chiara ed evidente decadenza di fondo della storia e della sua rappresentazione tragica. In realtà questa morte dell'ideale, del mito, dell'archetipo originale che eleverebbe ogni uomo ad essere migliore di quello a cui lo riduce la società spietata, è il punto di partenza per qualcosa di nuovo. E' l'inizio di una nuova concezione della vita collettiva ed individuale conseguito attraverso la distruzione violenta di ipocrisie ideologiche ed estetiche, così come anche attraverso ad una risemantizzazione dello stesso genere western americano (perchè grazie agli Spaghetti-W noi italiani c'eravamo già passati da questa risematizzazione...). Ecco che lo stile asciutto, il montaggio rapito di riprese nervose, di sintagmi alternati, di alternazioni tra rallenty e accelerazioni, il disarmante plastico senso figurativo, l'iperrealismo delle scene più violente, sono la traduzione estetica del caos esistenziale dei protagonisti, "devastatori in un mondo devastato" per dirla come Valerio Caprara nella sua monografia su Sam Peckinpah edita da Il Castoro. Mentre le continue opposizioni, coppie, duelli frontali e catartici, i continui cedimenti morali, le sconfitte fisiche e umane dei "capi", il disordine sessuale e l'amicizia virile e conflittuale, sono la traduzione narrativa sia di questo caos interno dei personaggi, che dei personaggi stessi.
E sono loro, giganteschi nella loro continua sconfitta, a dare al film di Peckinpah la sua compiutezza. L'amicizia è il tema più forte. Indicativa la battuta del vecchio Sykes a Pike Bishop/William Holden quando questi gli dice "Abbiamo iniziato insieme, e finiremo insieme": "E' quello che credo anch'io" gli fa il vecchio amico "Ed è quello che credo dell'amicizia". Poi sarà l'ambiguo Ernest Borgnine nei panni di Dutch a sintetizzare questa idea di eterna complicità maschile che ancora oggi è discussa e inesplicabile, e di cui non si sa ancora in quali radici affondi tale enigmatica affezione. Il Caprara parla di questa affezione di Dutch per il capo, come di una "tenue inclinazione omesessuale" per via di essere stato l'unico del Mucchio a non entrare nel bordello prima del massacro finale. Un'idea credo supportata anche da tanto cinema western precedente che aveva fatto dell'amicizia virile il leit-motiv più importante insieme a quello della mitizzazione dell'America, e "dei buoni contro i cattivi". Nel film c'è spazio per questa riflessione anche per lo scarso valore dato alle donne. L'unico personaggio femminile che ha un nome e un tratteggio più evidente è Teresa, l'ex donna del messicano Angèl che verrà uccisa per mano di questi nel giro di pochi minuti dalla sua entrata in scena. Le restanti figure femminili sono di puro contorno, e sono oggetto di sfogo sessuale o nemesi pura e semplice. Anch'esse muoiono e soffrono come i più crudeli banditi, e l'armonia peculiare del loro sesso, e la pace di cui dovrebbero essere portatrici vengono compiutamente distrutte. Anzi nemmeno iniziate. Ma nonostante questo, credo che il regista non volesse trattare nuovamente l'ambiguo filo omosessuale che lega tra loro gli amici di un unico gruppo maschile, già ampiamente trattato in numerosi film, e per quanto mi riguarda anche sempre un po' troppo esagerato e azzardato. Credo piuttosto che Peckinpah abbia voluto parallelizzare l'amore con l'amicizia, sottolineando come ci pensi il sesso a differenziare questi due giganteschi sentimenti. E lo fa appunto evitando a Dutch di entrare nel bordello: lui è l'amico, quelle invece sono le donne con cui far sesso. Ma la natura, l'impeto, la passione amicale, il sincero affetto verso il proprio miglior amico non cambiano. Certo c'è da dire che i sottotesti omosessuali sono più affascinanti perchè più proibiti, e ci porterebbero chissà quanto lontano, in quelle pieghe iniziali della vita umana, di attrazione/rifiuto tra due uomini che si vogliono bene, di cui Caino e Abele ne sono un chiaro ed esemplare modello originale.
L'affetto a senso unico di Dutch, trova un sua opposizione con lo strano rapporto di amicizia tra Pike/William Holden e Thorton/Robert Ryan, ovvero il tizio ingaggiato dalle ferrovie che lo insegue e che ha promesso di consegnarlo alla giustizia. Tra i due si sa c'è un vecchio contenzioso. Thorton s'è fatto diversi anni di galera mentre l'amico di malefatte no. Ora lo vuol catturare e fargli passare la stessa vita da recluso che ha fatto lui, ma nonostante questo i due si rispettano, si ammirano, e forse non si farebbero mai veramente del male. Ma le cose girano così adesso, e non possono evitarlo. Ed è proprio in questa ineluttibilità che risaltano i loro volti tristi. Sono consapevoli di essere uniti da un legame fortissimo che viene corrotto lentamente dall'essere sciacalli in un mondo di sciacalli. Eppure hanno spazio per lodi, complimenti, e perchè no, per qualche bella parola rimasta segreta. E nonostante sia Dutch a cercare disperatamente il suo grande amico Pike prima di morire, è l'amarezza di Thorton seduto fuori dalle mura di Agua Verde che ci commuove di più. E' sul suo volto che va ricercata l'essenza speciale e insostituibile dell'amicizia che tanto cinema ha cercato di spiegare. Tant'è che Thorton poi, duro e pragmatico, sembra non provare nulla per l'amico morto e si rimette a fare il criminale. Proprio in questa scelta c'è tutto il suo affetto verso l'amico morto. E' questa scelta ad essere un vero atto d'amore.
Ma questi antieroi, questi misfits, questi, come diremmo noi oggi irregolari, scapigliati e ribelli, oppure anche outcast se fossero indiani (e in termini di "nativi americani che lottano contro l'America corrotta" lo sono), uniti alla violenza iperreale, alla crudeltà della storia, alla decadenza ribelle che si compie nel mitico massacro finale ad Agua Verde...dicevo, che questi antieroi, con tutto il corredo cinematografico di prima, sono i protagonisti dell'eterna e storica opposizione dell'uomo con se stesso, rappresenta nel conflitto esteriore tra l'uomo e una società che ormai lo rifiuta, lo annienta, lo nega. E di quest'uomo stanco, la società, non sa più cosa farsene.

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