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Dark Shadows

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Dark Shadows

di M Valdemar
8 stelle

Fiotti di eloquente nera luminescenza tingono di seducente romanticismo una storia antica ed eterna, la cui densa materia vermiglia abbandona il suo corso naturale per perdersi nei rivoli dannati dell’inganno e dell’ira.
Catene grondanti rancori insopprimibili s’attorcigliano all’Essere imprigionandolo in una dimensione - fisica, temporale, spirituale - votata all’abominio, costretto a gua(r)dare le tormentose tempeste che ne gettano nel sortilegio più empio l’intera esistenza.
La scatola tombale lo destina al Nulla angoscioso ed imperituro, custodita nelle profondità di una terra “propria” che col procedere degli anni viene “espropriata” da colei che fu rifiutata. 
Barnabas Collins è l’(anti)eroe di due ere, uomo/non uomo condannato all’immortalità e all’immondo esercizio delle pratiche vampiresche. Il casuale risveglio che avviene due secoli dopo gli richiama immediatamente la sua indole crudele: addentare le prede più vicine ne quieta la sete di sangue. L’incontro/scontro con la “civiltà” del tempo - gli anni settanta della guerra in Vietnam, dei figli dei fiori, dei vizi ed eccessi, dell’espansione di McDonald, dell’abbigliamento colorato e sfrontato - e con i discendenti Collins, produce effetti squisitamente grotteschi (orchestrati con innata maestria dal regista), sia che consumi atti iniqui sia che si sorprenda di fronte alle “meraviglie” tecnologiche della società moderna od ai suoi usi e costumi.
Ma qual prodigioso groviglio del Fato è poter nuovamente posare gli occhi su di Lei? - l’amata perduta, vittima di diaboliche magie, che s’infranse con violenza sulle rocce d’un precipizio sul mare avvolto nell’oscurità, da cui, alfine, venne inghiottita.
Lei è Josette/Victoria, donna d’immacolata, fragile, lunare grazia e bellezza - tanto nella forma “umana” quanto come presenza fantasmatica dal soave incedere -, con labbra avvampanti che traboccano d’infinita letizia e occhi cristallini che abbracciano la volta celeste. Una ritornante dalle tragiche vicissitudini (come Josette sacrificata poiché innamorata di Barnabas; come Victoria scaricata d’urgenza in manicomio dagli “amorevoli” genitori in quanto non molto “normale”) che evoca con forza la tipica figura femminile di Poe, ed è inoltre, più di chiunque altro, simbolo di tutti i personaggi soli e afflitti - i “diversi” - della galleria burtoniana.
L'amore che visse due volte. L’Amore che trascende la Morte, ma deve lottare, ancora, contro la furia cieca di Angelique, colei che fu rifiutata - strega per vendetta, persecutrice per diletto - e le sue potenti maledizioni. Lei che è ammorbata da quella peggiore: la maledizione di “non saper amare”.
Il suo odio è racchiuso in un involucro di vetro; non appena si sgretola rivela un vuoto cosmico incolmabile, con il cuore che tramuta nella più scura delle ombre.
Dark Shadows non è il miglior film di Tim Burton; tra i difetti principali si possono notare il non sufficiente approfondimento di molti personaggi secondari, che sono decorativi (Jonny Lee Miller/Roger Collins) o poco sfruttati pur avendo risvolti interessanti (la splendida Michelle Pfeiffer/Elizabeth Collins ma anche Gulliver McGrath/David Collins), ed una non certo non marcata originalità di fondo. Eppure è un’opera meritevole, intrisa in ogni fotogramma della riconoscibilissima poetica burtoniana, capace di fondere con abilità non comune i toni da commedia brillante con quelli melodrammatici e quelli horror.
La messa in scena è barocca, sontuosa, precisa, coadiuvata magnificamente da fotografia, scenografie e colonna sonora, parti tutte di un mirabile processo creativo volto ad accorpare con armonia e senso compiuto ambientazione gotica ed anni settanta. Accanto alle ottime musiche originali dello storico collaboratore Danny Elfman trovano spazio pezzi storici di T. Rex, The Carpenters, Iggy Pop, The Moody Blues ed Alice Cooper. Quest’ultimo, impagabile replicante di sé stesso, compare in una scena irresistibile mentre esegue sue canzoni, con Barnabas che s’aggira per il maniero incredulo di fronte a quella “donna” così brutta.
Johnny Depp, che produce, si è riservato il ruolo del protagonista. Intuibili e non prive di logica le critiche che inevitabilmente gli contesteranno l’ennesima macchietta. Tuttavia, Barnabas è una figura tragicomica, travolta da eventi assurdi e destabilizzanti. E’ una maschera, sorpassata, fuori posto, fuori tempo, schizzata, patetica, romantica. Quindi Depp è perfetto.
Eva Green è un’azzeccata Angelique, provocante, cattivissima, disturbata. Un volto che dona linfa nuova ai soliti noti del circuito di Burton.
Infine, Bella Heathcote (Josette/Victoria), la meno pubblicizzata ma sicuramente la più sorprendente: dotata, oltreché di bravura, di lineamenti incantevoli e d’una leggiadria angelica in grado di illuminare gli animi perduti nei recessi ombrosi.

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