Regia di Andrew Jarecki vedi scheda film
David Marks, rampollo mentalmente disturbato di una potente dinastia immobiliare newyorkese, ha ucciso o no la giovane moglie? Il film non lo rivela, perché si basa su un fatto di cronaca ancora irrisolto, però lascia intendere chiaramente non solo che il nostro è colpevole e ha sulla coscienza un altro paio di cadaveri, ma che il procuratore si è accordato con i familiari per non perseguirlo. Siccome però il fatto che chi ha i soldi la farà sempre franca è largamente noto, la parte processuale è quella meno interessante; anche perché verso la fine la credibilità scende a livelli allarmanti (sorvoliamo sul travestimento in abiti femminili). Funziona meglio come dramma della follia: David è stato traumatizzato dal suicidio della madre, inibito da un padre terrificante (ma Frank Langella sarà stato giovane? io l’ho sempre visto con la stessa faccia), ed è andato completamente fuori di testa quando è entrato in contatto con l’allegra vitalità di una ragazza estranea al mondo in cui era vissuto fino allora: lei avrebbe potuto salvarlo dai suoi fantasmi, invece ne è rimasta vittima come lui. Beninteso, io a uno che ha ucciso Kirsten Dunst darei una decina di ergastoli da scontare in successione; ma bisogna dire che lei si comporta come una pecora condotta al macello, ostinandosi a restare con un marito che ha già dimostrato tutta la propria pericolosità. Il titolo originale All good things è il nome del negozio di alimenti biologici che i due novelli sposi aprono in Vermont, nel tentativo di allontanarsi dal clima avvelenato della famiglia di lui.
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