Regia di Andrew Jarecki vedi scheda film
“All good things”, titolo originale dalla doppia efficace valenza (è il nome dell’attività in proprio degli allora due innamoratini ed una promessa d’amore non mantenuta), è una pellicola sostanzialmente ben fatta (seppur con qualche distinguo) che vive, pulsa e ferisce grazie a due personaggi ben sviluppati e probabilmente ancor meglio interpretati.
David (Ryan Gosling) cresce segnato dalla tragica, e prematura, morte della madre che lo porta affettivamente lontano dal padre (Frank Langella) e da tutto il mondo che lo circonda.
Quando conosce Katie (Kirsten Dunst) se ne innamora subito e la sposa, ma quando quest’ultima sente la (normale) voglia di diventare madre il rapporto tra i due comincia ad incrinarsi e le azioni di David assumono connotati sempre più inquietanti.
Un film che è sostanzialmente sostenuto da due fantastiche prove di recitazione da parte di un Ryan Gosling, disturbato, inconsapevole, metodico e squilibrato e di una Kirsten Dunst di rara grazia e gentilezza.
Due personaggi scolpiti in diverso modo nel marmo, un rapporto che da un’origine tradizionale (ma con già qualche piccolo segno di cedimento) vira sul dramma quotidiano nel quale anche gesti pesanti, come per esempio un aborto, vengono seguiti con glaciale normalità (infatti David non si fa problemi a lasciare Katie da sola per seguire una questione d’affari).
Uno sguardo che sconvolge, anche piccoli dettagli come una parola (raccapricciante quando David dice a Katie che sarebbe stata una brava madre), o un’azione non attesa destano naturale sgomento.
Un film che ha anche la sua personalità quando nell’ultimo segmento cambia un po’ il tiro, ma la dipartita di Katie non aiuta nel concreto (sarà che in fondo era la fiammella di luce in un freddo interno famigliare), l’andamento diventa meno coordinato ed il salto in avanti, la vicenda copre circa trent’anni della vita del protagonista, porta diversi scompensi, fermo restando che l’ingresso del nuovo vicino di David, interpretato da Philip Baker Hall, è un altro tassello di un piano ventennale di una mente deviata.
Insomma la famiglia è tutto fuorchè l’istituzione nella quale sentirsi al riparo (e questo era già chiaro fin dalla prima battuta del padre di David, perentoria e poco malleabile), in tal senso la prima ora è assai pregevole, mentre la restante mezz’ora pur piazzando più di un colpo ben assestato (come per esempio la natura del processo che vede coinvolto David) è un po’ inferiore.
Un’opera segnata da una forte matrice negativa e caratterizzata da una buona fattura che con un ordine maggiore nella seconda parte sarebbe potuta essere ancora più bella.
Già così lascia comunque il segno.
Tenebroso.
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