Regia di Andrew Jarecki vedi scheda film
“Love & secrets” (All Good Things, 2010) è la seconda pellicola del regista statunitense Andrew Jarecki (come suo fratello Eugene che si occupa anche di sceneggiatura). Andrew dirige un documentario nel 2003 (“Capturing the Friedmans”) riguardante delle indagini degli anni ottanta di A. e J. Friedman circa l’abuso sessuale sui bambini (caso eclatante l’accusa ad alcuni componenti la famiglia McMartin che vennero assolti dopo sei anni di processo penale). Questa seconda pellicola arriva dopo un lungo periodo (in realtà Jarecki si occupa anche di teatro e produzione cinematografica).
“Love & secrets” viene distribuito nel nostro paese dopo due anni dalla sua uscita americana (quando le cose vanno fatte con molta calma) e si deve dire che ne è valsa la pena aspettare. Un film che riordina in modo elegante e con precisi meccanismi il circondario familiare e le sue evoluzioni noir-thriller. Una prima parte fatta benissimo con risvolti e psicologie ben delineati: un’impostazione interno stile polanskiano e posizione macchina da presa in controcampo con movimenti laterali tagliati e sapientemente con figure in successione scalare. Gli oggetti, le ombre, gli ambienti e il campo della messa in scena si completano in un gioco ben preciso dove qualsiasi particolare chiosa e sradica il valore della stessa immagine fuori dallo contesto. Una inquadratura continuamente smussata dal superfluo e dall’inutile. Così che ogni cosa resta al suo posto e per nulla adombra qualche manovra fuori ordinanza. Le luci offuscate, le sere tetre, le notti annerite, i boschi impietriti, il lago pensieroso, gli uffici ricolmi, le strade vuote, i visi contratti, le voci ardimentose, i fuochi interiori, il processo duraturo e il sangue annacquato. Un film dove le sembianza narrative si sommano e si aggrovigliano con riluttanti modi di giochi inferociti ed evanescenti.
David Marks è figlio di una potente famiglia di New York che si occupa di attività immobiliare; con suo padre Sanford i rapporti sono tesi per via della morte (suicida) della madre a cui assiste impotente. Si innamora di una ragazza, Katie, al suo primo apparire nella sua vita. Tutto viene visto come gioco dalla famiglia e David, convinto della sua scelta, vuole crearsi un suo impero immobiliare aprendo una sua attività di ‘tutte cose buone’ (da cui il titolo originale ‘All Good Things’): un’insegna fuori città e fuori giro. Le cose non vanno bene e David torna da suo padre. Nonostante la casa in città, al lago, una vita agiata, il cervello di David non è a posto. I suoi modi diventano bruschi, la sua vita si scompone molto, il ricordo della madre è forte, gli screzi col padre sempre più frequenti per via della morte della madre. Violenza, sfoghi, travestimenti e un aborto della moglie creano una situazione irreversibile. Tutto svolta quando scompare Katie: il suo corpo entra dentro un taxi. Il racconto va avanti con la voce fuori campo iniziale , quella di David adulto, che appare ad una deposizione in un processo. La storia di Marks è ispirato ad una persona reale, Robert Drust, ricchissimo imprenditore immobiliare accusato di aver ucciso la giovane moglie, scomparsa nel 1982. Il processo segue la finzione (si parte dal 1972) fino a didascalie finali riguardanti i personaggi del film (non i nomi veri) e la loro attuale vita.
Una pellicola che nella prima parte (per più di un’ora) promette molto e poi cade nel facile gioco della spiegazione a tutto campo tralasciando i piccoli incubi e le psicologie labili dei personaggi. Quindi tutto diventa meno teso e facilmente ‘digeribile’. Peccato perché la regia e gli attori sembrano tutti in vena ( o meglio nelle giuste parti). Si ostenta il troppo e il dubbio sembra più non esserci. “Ora sono come te” cosi David dice al padre quando scompare sua moglie e… Una simbiosi e un nodo padre-figlio da horror. E questa frase chiave si perde in una scrittura fin troppo ‘assolutoria’ (in tutti i sensi. In ogni caso rimane un film godibile, girato bene e sostanzialmente teso. Facilmente si può riguardare senza scomporsi eccessivamente e con un giusto distacco.
Si deve dire sia Ryan Gosling (David Marks) che Kirsten Dunts (Katie McCarthy) sono convincenti e credibili. Anche Frank Langella (Sansford Marks) tiene benissimo la scena (caricando troppo la recitazione). Bellissima la fotografia di Michael Seresin (la sua carriera ha seguito molte pellicole di Alan Parker, da “Fuga di mezzanotte” a “The Life of David Gale”) e i luoghi (quella del lago è molto riuscita). Regia di buon livello (chi sa se la stessa regia è stata ‘obbligata’ a certi semplici meccanismi per non scontrarsi con la realtà del processo penale e di quello che ne è scaturito. Una critica al sistema giudiziario americano è vagamente sottotraccia ma senza nessunissima riflessione).
Voto: 7+.
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