Regia di Gary Ross vedi scheda film
Robert Sheckley all'ennesima potenza. I soggetti e gli sviluppi distopici concepiti negli anni cinquanta dallo scrittore di origini ucraine sono ampiamente saccheggiati da Suzanne Collins, autrice del soggetto, che non ha riconosciuto l'evidente plagio, sostenendo di essersi ispirata ai reality show, alle scene di guerra e al mito di Teseo e il minotauro, come se non fossero mai esistite opere quali Battle Royale (2000), L'Implacabile (1987), Anno 2000 La Corsa della Morte (1975) e una lunga serie di B-movie minori (molti dei quali italiani, quali Endgame o I Guerrieri dell'Anno 2072), per non parlare dei romanzi Running Man e La Lunga Marcia di Stephen King e soprattutto la produzione del citato maestro della fantascienza americana che con La Settima Vittma (trasposto al cinema da Petri con La Decima Vittima) ha plasmato il genere. Ecco che il caso editorale scatenato dalla Collins si rivela alquanto inspiegabile per un'opera e una serie di romanzi (quatto) niente più che derivativi. E' il caso di questo primo episodio, che affonda nella tradizione distopica plasmata da Sheckley (si veda anche il romanzo pubblicato nella collana Urania Vittime a Premio). Ne viene fuori un film carico di dejà vù, eppure gradevole nella visione, specie nella prima parte. Superiore alle due ore, il film paga un secondo tempo non all'altezza del primo. Lo show mostrato dai "giochi della fame" non è poi così spettacolare. Le morti sono rapide, portate in scena senza gusto onirico all'interno di un'arena boschiva dove la produzione si concede la possibilità di modificare l'ambiente e l'habitat (con tanto di inserimento di belve feroci). Manca del tutto uno sviluppo parallelo allo spettacolo, sviluppo fatto di scommesse, esaltazione o denigrazione dei personaggi. Si nota solo lo scoppio di una rivolta da uno dei distretti da cui è stata coaptata una partecipante. Ecco che Gary Ross, il regista, perde alla grande il confronto con colleghi del calibro di Paul Michael Glaser (L'Implacabile) o Paul Bartel e la cosa non depone certo a vantaggio di chi vorrebbe realizzare (per altro riuscendoci) un'opera destinata a restare scolpita nel genere. Il tono melassoso tipicamente femminle della Collins (con tanto di happy end) inoltre non aiuta il risultato finale. Hunger Games vorrebbe apparire come brutale, ma non lo è affatto. Il voler aggraziarsi il gusto della più alta fetta di pubblico fa perdere quel tono che sarebbe stato necessario imprimere. Si cerca piuttosto di lasciare un messaggio ipocrita, dove l'amore vince sulla morte e sugli egoismi, al punto da far riscrivere le regole di un gioco falso alla maniera delle regole che governano gli spettacoli televisivi. Per fortuna le interpretazioni sono molto buone e scongiurano la noia. In particolare brillano Woody Harrelson e Jennifer Lawrence (vincitrice nel medesimo anno dell'Oscar per la migliore attrice per l'interpretazione ne Il Lato Positivo). Niente più che carino, eppur destinato a diventare cult. Grosso successo al botteghino.
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