Regia di Gary Ross vedi scheda film
È difficile restare umani, nel futuro scritto da Suzanne Collins. Il Nordamerica è lo Stato di Panem, diviso in 12 Distretti la cui numerazione cresce proporzionalmente alla penuria di cibo. Sono governati da Capitol City, ipertecnologica città di smeraldo che ne sfrutta lavoro e risorse assicurando benessere alla sua frivola gente. Opporsi è impensabile dopo una rivolta tragicamente fallita: a ciò si deve l’istituzione degli Hunger Games, il reality show che ogni anno coinvolge un ragazzo e una ragazza da ogni Distretto e li getta in un’arena da cui uscirà un solo vincitore con le mani sporche di sangue. Quando viene sorteggiata la piccola Prim, la sorella 16enne Katniss si offre volontaria. Le prove cui sarà sottoposta sposteranno il fulcro della sua età incerta, costringendola a scelte più forti delle braccia e del cuore di un’adolescente. La Trilogia che in America è un caso letterario, paragonabile alla Twilight Saga (solo) per incassi e target (quei “giovani adulti” che muovono i fili dell’industria creativa), nella trasposizione mantiene intatta la crudeltà del combattimento ma lascia incompiuti gli altrettanto feroci tumulti dell’animo. L’impianto di concetti complessi sulla macchina semovente del blockbuster è un innesto solo parzialmente riuscito, e forse mai rincorso fino in fondo: il compromesso come scelta vitale, il tritacarne mediatico metaforico e letterale, il romanzo di formazione dell’eroina schiva ma determinata stanno al film come il vestito meticolosamente elaborato per Katniss dallo stilista futuristico Lenny Kravitz: brucia girando su se stesso, ma produce fuoco sintetico, scintilla decorativa e sicura. Un sorriso della «ragazza in fiamme» basta ad accendere la platea, ma quando i riflettori si abbassano e gli sguardi braccano la terra - bruciata, percossa, disumana - di brutale rimangono i movimenti di macchina. Il libro si affidava alla voce di Katniss, arma a doppio taglio che ne vivificava l’impeto combattivo e al contempo ne svelava spasmi e insicurezze, dissidi e ambiguità nella lotta tra realtà e sovrastruttura. Il film si attiene rigidamente alla matrice letteraria per quanto concerne la storyline, ma non trova mai la forza di rompere lo specchio tra schermi: quelli di Capitol City e il nostro. Nonostante l’ottima Jennifer Lawrence, cacciatrice dallo sguardo vitreo al suo secondo gelido inverno, restiamo spettatori di un gioco al massacro che traduce in extremis dinamiche contemporanee. Solo abdicando alla condizione di testimoni saremmo realmente liberi.
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