Regia di Gary Ross vedi scheda film
Clamoroso successo al box office statunitense, Hunger Games è una clamorosa bufala.
L'aspetto divertente è che in molti - più reali del re - per giustificare tale exploit, si sono messi a delirare riguardo presunte, profonde, tematiche in esso contenute, tirando in ballo nientepopodimeno che George Orwell, così come critiche alla deriva dei reality televisivi e richiamando precedenti pellicole sci-fi aventi ambientazioni distopiche, i cui titoli sono piuttosto ovvi.
Si tratta, banalmente, di un puro blockbuster, a target adolescenziale in aggiunta. Attinge infatti al medesimo bacino d’utenza di fenomeni quali, ad esempio, la saga di Twilight o i vari supereroistici.
I protagonisti sono, ma guarda un po’, ragazzi di un’età compresa tra i dodici e i diciotto anni, scelti, con una cerimonia simil-lotteria da pesca di beneficenza chiamata “mietitura”, come “tributo” da versare in nome di una non ben identificata libertà conquistata, i quali devono combattere tra di loro ed uccidersi, finché - come Highlander - non ne rimarrà uno solo, il vincitore degli Hunger Games. Il tutto su un controllatissimo campo di battaglia - una specie di giungla - imbottito di trappole, esche, armi e, naturalmente, telecamere. Perché lo show va in onda in televisione. Capirai che novità.
Messo così parrebbe cruento, con dei giovani (molto educati, tra l'altro, e troppo remissivi) che si trucidano a vicenda, ma tra le tante furberie annesse al prodotto, v’è un’edulcorazione calcolata e sistematica delle lotte, degli spargimenti di sangue e delle conseguenti morti. I fanciulli possono guardare senza temere alcunché, esattamente come lo spettatore tipo del programma tv nella finzione. Geniale.
L'attenzione è tutta focalizzata sulle prodi gesta dell’impavida Katniss Everdeen, novella figura di eroina/martire, forgiata su un mix tra la sfiga di una Cenerentola (ella proviene dal distretto 12, quello più povero, con madre irresponsabile e sorellina sensibile di cui prendersi cura) e la forza e determinazione di un’Alice di Resident Evil. E con le fattezze da Barbie postmoderna e “naturale” della splendida Jennifer Lawrence (ad un certo punto, nel pre-gara le fanno dei trattamenti estetici al fine di renderla più “presentabile” per la diretta: il risultato è che lei è esattamente uguale a prima, sempre stupenda). L’empatia nei confronti della protagonista è immediatamente innescata non appena si offre volontaria al posto dell’amata sorella, pescata alla sua prima tornata da eleggibile.
Quello che segue è più che prevedibile.
Meno prevedibile è la resa non così spettacolare. La noia la fa spesso da padrone, con lungaggini estese (la durata è di due ore e venti minuti) e momenti del tutto superflui, sia nella prima parte ma anche nella seconda quando avrebbe dovuto infuriare la battaglia. Laddove, invece, occorreva essere più didascalici, e cioè all’inizio quando s’introduce la storia, s’assiste a una spiegazione sbrigativa ed insufficiente che non regge, nemmeno per essere “solo” un film di fantascienza. In sostanza si è sorvolato sulla puerilità della trama puntando tutto sulla figura femminile protagonista, sui suoi tormenti, turbamenti, e sulle sue capacità di affrontare avversità e sfortune, da cui ne esce sempre a testa alta.
L'azione è relegata a poche scene, girate senza particolare nerbo ed attitudine, risultando in tal modo poco appetibili e certo non memorabili. Fanno da “arredamento” scenografico alle performance della concorrente/combattente Katniss. L’impatto, insomma, è pressoché nullo. Del resto, scorrendo il curriculum del regista, il Gary Ross del buon Pleasantville e del meno riuscito Seabiscuit, non è faccenda di cui stupirsi. Al contrario, stupisce (in negativo) la rappresentazione del mondo futuro alternativo in cui si svolge la storia, desumibile esclusivamente dall’aspetto (peraltro di mediocre fattura) delle persone, che indossano capi sgargianti e dal taglio bizzarro, che hanno strane capigliature ed eccentrici make up. Insulso sia dal punto di vista concettuale che da quello realizzativo.
Non che si pretenda chissà quali effetti speciali, tutt’altro, ma qualche idea decente, foss’anche derivativa, sì.
Il malcapitato Stanley Tucci, vanitoso e iper-sorridente presentatore dello show, si distingue solo per i capelli blu, così per il capo stratega interpretato da Wes Bentley, di cui si ricorda solo la forma “arabesca” della barba. Tutti buttati all’interno di un disegno anonimo e poco attraente, i cui ruoli sbiaditi fanno da sfondo (morto) all’elemento centrale. Coinvolti nell’operazione anche un Woody Harrelson mai così insipido e privo di personalità e il grande capo Donald Sutherland, che ha il pilota automatico (arrugginito) inserito.
Dei più giovani, nessuno spicca, paiono configurati tutti con la stessa plastilina.
Eccezion fatta, naturalmente, per Jennifer Lawrence: il film è fatto su misura per lei, che non si risparmia, consapevole dei propri mezzi e della ghiotta occasione. Scelta azzeccata in pieno: piace ai maschi (non c’è bisogno di spiegare perché) ma anche alla femmine, che in lei possono trovare un modello non proprio stereotipato cui identificarsi e ispirarsi.
Ma Winter's Bone era decisamente un’altra cosa …
Va precisato comunque che, nel calderone mainstream delle opere d’intrattenimento, s’è visto molto di peggio di Hunger Games, il quale ha almeno dalla sua il fatto di avere come assoluto protagonista una donna, il che non è una novità ma non è nemmeno così scontato come pure non è operazione scevra da rischi.
Tratto dal romanzo omonimo di Suzanne Collins (alla quale la Stephenie Meyer di Twilight ha dichiarato tutta la sua stima, fate voi …), è il primo di una trilogia già edita (in Italia manca l'ultimo capitolo, la lacuna verrà colmata a breve); dati gli esiti al botteghino, la minaccia di sequel è divenuta certezza incrollabile.
Pronti a pagare il tributo?
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