Regia di Larry Charles vedi scheda film
Si può riuscire a far ridere della nostra attualità senza mortificare l’intelligenza dello spettatore. Dopo la visione dell’ultimo film di Sacha Baron Cohen, il nome del regista in questo caso appare veramente superfluo, la risposta non può che essere positiva. Ultimo arrivato in una galleria di personaggi dall’ego iperdotato “Il dittatore” non vuol essere da meno aggiungendo un cotè politico e militare alla ben nota stravaganza fisiognomica e caratteriale a cui il mattatore ci ha da sempre abituato. Ed allora all’insegna del politicamente scorretto e con lo scopo di dissacrare i luoghi comuni della nostra contemporaneità Baron Cohen rovescia l’incipit iniziale riducendo il suo dittatore alla stregua di un comune cittadino quando, dopo essere sfuggito ad un complotto organizzato dal cugino viene sostituito da un sosia e si ritrova a dover sbarcare il lunario a New York dove si era recato per rispondere ad una convocazione delle Nazioni Unite a proposito del sua politica dispotica ed intransigente. Dalle stelle alle stalle e con l’aggravante di una mentalità che non retrocede di un gradino Aladeen si ritrova impiegato in un negozio ecologista gestito da un’ attivista politica che sembra fatta apposta per confermare i suoi pregiudizi sull’occidente e sul sesso femminile. Ma nei film si sa che gli opposti sono destinati a combaciare.
Con il suo corpo sghembo e con una mimica assecondata dall’eccesso estetico – questa volta è la barba a fare la differenza – Baron Cohen come al solito non risparmia nessuno riuscendo a coinvolgere con uno spettacolo tiratissimo (solo 90 minuti, un record di questi tempi) tutto e tutti, dai media messi alla berlina simulando una diretta in cui due giornalisti si impegnano a dare senso alla gestualità spaesata e molto sciroccata del sosia del sovrano, allo Star System messo in mezzo quando dopo una notte d’amore a pagamento con Megan Fox (qui nella parte di se stessa) la telecamera si sofferma su una parete tappezzata dalle foto di altrettante conquiste provenienti da quel mondo, alla natura stessa del potere preso in giro dall’inizio alla fine con una serie di battute fulminanti in cui razzismo, misoginia e gusto del paradosso la fanno da padrone. Una capacità di fare ridere che si potrebbe racchiudere nel gesto con cui il sovrano indica ai suoi sgherri di tagliare la gola di chi non l’aggrada. Un movimento che diventa riflesso incondizionato, e che ricorda per tempismo ed ironia il saluto nazista del dottor stranamore di Stanley Kubrick. Un paragone forse eccessivo ma che serve a sottolineare le potenzialità di un attore pronto per il salto di qualità definitivo.
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