Regia di Larry Charles vedi scheda film
Il mio incontro con il cinema di Sacha Baron Cohen fu all'insegna della goduria, e furono subito scintille con il formidabile "Borat", che rappresentò una "caso" cinematografico. Risate a crepapelle anche con l'irresistibile "Bruno" (anche se qui il supporto di pubblico e critica fu minore). Poi accadde qualcosa. Non credetti ai miei occhi quando vidi Sacha nelle vesti di un barbiere italiano, diretto da Tim Burton in un ruolo "serio" ("Sweenie Todd"). Poi venne la consacrazione definitiva, addirittura sotto la guida del più grande di tutti, Martin Scorsese ("Hugo Cabret"). E qui devo ammettere che toppai clamorosamente. Sì, perchè mi ero convinto di una "conversione artistica" di Baron Cohen, il quale (io ipotizzai) aveva deciso di porre fine al suo furore iconoclasta per recitare solo ruoli drammatici o al massimo stralunati. Niente di tutto questo: con "Il dittatore", Baron Cohen -al contrario- non solo torna a combattere in prima linea sul fronte della satira ferocissima, ma moltiplica all'ennesima potenza il suo forsennato spiritaccio da Super Guitto. Diciamo subito che si ride molto, e spesso (come era lecito aspettarsi) di quel divertimento un po' "guilty" perchè le situazioni sono quasi sempre di un greve inaudito. Ma è chiaro che anche le gag più volgari sono frutto di un lavoro sapiente, voglio dire insomma che qui siamo su un altro pianeta rispetto ad "American pie" o "Project X". E risulta dunque evidente che questo tipo di "demenzial grottesco" si rivolge ad un pubblico più ampio di quello, mirato, dei teeen agers che sono invece il pubblico d'elezione delle due pellicole citate. La cosa più elettrizzante è che il furore scorretto di Baron Cohen viene esercitato, con la medesima virulenza, in ogni direzione: qua si fa polpette tanto della democrazia (vera o presunta) degli USA quanto degli insopportabili clichè dei leader mediorientali, mettendo nel tritacarne Saddam Hussein, Osama Bin Laden e -direi soprattutto- Gheddafi. Ma non basta, perchè c'è una demolizione da delirio (sacrosanta!) dell'equo solidale coi suoi luoghi comuni e dell'ecologia vista come pratica fondamentalista, qui simboleggiata da quella che "il dittatore" definisce "la nana", cioè una imbarazzante figura di femminista equa e solidale interpretata da Anna Faris. A proposito di cast, da segnalare un cammeo del sempre ottimo John C.Reilly e una comparsata (più che altro decorativa) di Megan Fox, ma soprattutto a campeggiare è il monumentale Ben Kingsley, il quale -oggi uno dei più grandi attori viventi- si può permettere di cimentarsi in qualunque tipo di esperienza attoriale, sicuro di uscirne in ogni caso come un gigante. Qualche sprovveduto, di fronte a cotanta volgarità, ha esclamato "Ridateci i cinepanettoni!". Ignorando però un dettaglio. Nei cinepanettoni il collante che tiene insieme ogni trivialità è sempre solo uno: le corna. Qua invece il movente è la critica feroce a tutti i sistemi di potere. Evitiamo dunque, per favore, certi accostamenti.
Voto: 8
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