Regia di Roy Andersson vedi scheda film
L'universo di Roy Anderson è sempre condannato ad una fissità ineluttabile: scenari desolati, spogli, freddi e ostili, nei quali si muove un' umanità sperduta. C'è un prestigiatore che si cimenta nel numero dell'uomo segato in due, e finisce per segarlo veramente; c'è il malcapitato con il taglio all'addome che se ne va in giro in preda a dolori lancinanti; c'è un uomo che ha dato fuoco alla sua azienda, con un figlio poeta che si rifiuta di parlare, e così via.
Una galleria di clown dalla faccia pallida e inespressiva, che il destino ha condannato all' isolamento forzato sul palcoscenico del mondo moderno, ostile e anaffettivo, assurdo e crudele.
Non c'è nessuna trama a fare da filo conduttore, l'unico elemento che accomuna questi episodi, queste scene disturbanti, è un silenzio inquietante e disumano, che opprime gli individui condannandoli alla solitudine. Il silenzio amplifica la fissità delle scene, la fissità di uno sguardo crudele e prepotente: è lo sguardo della folla, che assiste alle umiliazioni dei protagonisti, impassibile e impietosa.
C'è qualcosa che incombe sull'umanità, ed è l'assenza di avvenimenti: sullo sfondo dei vari episodi, vediamo un immenso ingorgo stradale, causato da una processione di supplizianti che blocca il traffico. Un ingorgo che non ha un inizio e non ha una fine. Non ci sono sbocchi, non ci sono possibili vie di fuga per questa umanità impotente e schiavizzata, oppressa da un regime tirannico invisibile che la domina dall'alto e la tiene in pugno: il regime delle convenzioni borghesi.
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