Regia di Roy Andersson vedi scheda film
Uno dei capolavori del terzo millennio. Perfetta sintesi di esistenzialismo, surrealismo ed espressionismo, opera tanto più potente quanto più apparentemente meschina, capace di irridere i presunti confini fra il tragico e il ridicolo, "Canzoni del secondo piano" è uno dei film più autenticamente sperimentali degli ultimi anni. In un'epoca di "riflusso estetico", di forzato realismo, di premeditata sterilità per tante cinematografie anche europee, questo misconosciuto fotografo scandinavo ha ancora il coraggio e la capacità di sperimentare con le forme filmiche, creandone di nuove. E questo vale tanto per la composizione interna dell'immagine, che si avvale di un utilizzo geniale della profondità di campo (come accadeva, ai loro tempi, a gente come Murnau o Welles), quanto per la struttura "narrativa" (in bilico fra le spirali da incubo di un Bunuel e l'apologo enigmatico à la Skolimowski). Fondato sulle ripetizioni, sui tormentoni, su situazioni che paiono riproporsi sempre identiche in contesti differenti, sulla condensazione onirica, su gigantesche allegorie (su tutte, la memorabile immagine che vede tutti i personaggi trascinare faticosamente un carrello pieno di valigie, verso una meta invisibile), solo in apparenza si presenta come un film discontinuo, episodico, gratuitamente criptico, proponendo in realtà un senso compiuto, una direzione lineare: si parla dell'umanità, del suo smarrimento di fronte al non-senso della vita, della perdita dei valori e della ricerca di una strada maestra. L'umanità, la folla sparuta e indefinita, è la protagonista del film: bloccata nel traffico, coinvolta in un processione, radunata ad assistere ad un sacrifico infantile, inchiodata su di una sedia, sdraiata in un campo. Un'umanità che ha smarrito la bussola, sull'orlo di un'Apocalisse imminente o forse già passata. Andersson, nel far ricorso ossessivamente all'universo del denaro, delle aziende, dei beni materiali, ci mostra, come in un incubo, la paura di perdere tutto ciò. E’ dunque un film sull’esistenza, vista come bieca lotta per la sopravvivenza, alimentata dall'angosca di perdere gli unici beni in cui ci si riconosce (quelli materiali, appunto), una volta smarrito ogni tipo di Fede, prima fra tutte quella in Gesù Cristo. Film pervaso da una sottile, ma caustica carica eversiva, blasfema, anti-autoritaria. Ma l’ateismo di Andersson non è ideologico, ma fenomenologico ed esistenziale: Dio non c’è, semplicemente perché non si manifesta, e l’affannoso viaggio dell’Uomo verso la salvezza è grottesco e destinato a naufragare. Ricorrono temi dal miglior cinema nordico (il mutismo di Thomas non è forse lo stesso di Johannes in "Ordet" o di Elisabeth in "Persona"?), ma in questo film pur caratterizzato da ombre così gotiche il referente principale resta forse Jaques Tati. Singolare a mio avviso una certa comunanza con un altro capolavoro dello stesso anno, il fatidico 2000, da un quasi omonimo del regista svedese: "Magnolia" dell'americano P.T. Anderson. In entrambi i film, ci sono sequenze in qui tutti i personaggi cantano in coro la stessa aria. Solo che se P.T. componeva una sontuosa e vibrante sinfonia per affrescare lo sconforto di tante solitarie anime in pena, Roy opta per la suite dissonante e atonale.
Errore:
chiudi
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Se l’humus letterario oscilla tra Kafka i surrealisti e Borges, il nume tutelare cinematografico appare Bunuel, gli ambienti richiamano esplicitamente il Playtime di Tati (e in second'ordine Brazil di Gilliam), i personaggi sembrano ispirati alla mai troppo lodata Cinico Tv dei nostri Ciprì e Maresco, a mio parere credo non vada dimenticato che il fondamentale referente dell’intera opera, non solo da un punto di vista figurativo ma anche stilistico, è quell’Edward Hopper il cui realismo metafisico (e le sue diramazioni psicanalitiche) si attagliava evidentemente alla perfezione agli originali intenti poetico-linguistici di Andersson. Riferimenti espliciti all’arte hopperiana sono onnipresenti in quasi tutte le inquadrature del film, non a caso caratterizzate dall’opprimente forma chiusa dell'immobilismo tecnico e al tempo stesso da quella profondamente aperta delle abissali e labirintiche profondità di campo, dei molteplici microcosmi narrativi interni al quadro (in continuo rapporto dialettico fra primo piano, campo medio e sfondo), delle costanti tensioni nei confronti dei territori extra-diegetici evocati da suoni quali rumori, mormorii o canti corali, da movimenti di ingresso e uscita dei personaggi dall’inquadratura, e sopra ogni cosa dalle proiezioni corporee e mentali verso un fuoricampo denso di incognite esistenziali e oniriche destinate inevitabilmente a cadere nel vuoto del nulla assoluto (da citare pure gli stranissimi sguardi interrogativi volutamente rivolti alle spalle dell'obiettivo della mdp, oltre la mera presenza della troupe e del nostro sguardo di futuri spettatori, quasi fossero orientati alla volta di un indefinito aldilà). “Canti dal secondo piano” è una complessa allegoria post-moderna improntata a un nichilismo spietato quanto grottesco, un mosaico iconoclasta venato da un algido quanto bruciante sarcasmo; è in sostanza un’opera mirabile come la tua recensione Ed, particolarmente utile per decodificarne alcuni degli elementi più criptici e spiazzanti (nella loro valenza innovativa e sperimentale), e in ultimo per scoprire un grande e misconosciuto autore (con il solito provvidenziale zampino di Fuori Orario). Un salutone.
Ciao Inside Man! Ti ringrazio per questo splendido commento...non avevo pensato ad una possibile comunanza coi personaggi di Cinico TV, mentre riguardo ad Hopper non è un mistero che il pittore statunitense sia stato fra i più influenti di sempre sui cineasti...Roy Andersson ha tanti referenti (cinematografici, letterari, pittorici), eppure il suo stile è riconoscibile fra mille...ha avuto una carriera assurda...nel 1970, o giù di lì, ha realizzato un cult-movie per la gioventù svedese, "A sweedish love story", straniante operetta sentimentale che ricorda vagamente il tocco svagato e un po' criptico di certo Olmi di quei tempi ("La circostanza")...poi un trentennio con pochi film, tanta fotografia (con cui si mantiene) e negli anni Zero si reinventa Autore con la A maiuscola con film come "Canti dal secondo piano" (che a breve vorrei proprio gustare nuovamente), dove (lo dico senza esagerare) si reinventa il cinema...A presto! :-)
Commenta