Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Nella Parigi del 1999 Camille e Sullivan sono due ragazzi che si amano; lui va in Sud America all’avventura, per un po’ le scrive, ma la sua ultima lettera è un addio; lei elabora faticosamente il lutto, cerca di guardare avanti e si lega all’architetto per cui lavora; anni dopo lui torna, e capiscono che tra loro non è mai finita. Raccontato così sembra un mediocre melodramma, e in effetti la trama è prevedibile in ogni snodo narrativo (a uno spettatore italiano, fra l’altro, può ricordare Dieci inverni); a ciò si aggiunga che i protagonisti risultano un po’ antipatici (lei scostante, lui indolente e opportunista). Bisogna superare la prima mezz’ora, troppo ostentatamente adolescenziale, aspettare che i personaggi acquistino spessore e che le loro passioni si decantino con naturalezza (mentre aumenta anche la credibilità della protagonista, che all’inizio sembra ben più matura dei 15 anni dichiarati): si arriva così alla malinconica constatazione che quell’amore grande e bello, che nella nostra giovanile intransigenza tutti abbiamo sognato essere eterno, non c’è più, ma che al tempo stesso qualcosa rimane nonostante tutto. Lo scorrere del tempo viene adeguatamente sottolineato dai paesaggi, dall’abbigliamento, dalle evoluzioni tecnologiche (si passa dalle lettere cartacee alla posta elettronica); e la chiusura è affidata all’immagine di un fiume che scorre, appunto come il tempo.
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