Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Les enfants qui s’aiment ne sont là pour personne/ Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit/ Bien plus haut que le jour/ Dans l’éblouissante clarté de leur premier amour.
Il primo amore è per tutti i ragazzi che vivono in Occidente un momento delicato e complesso. È esaltante – se vissuto con l’intensità e l’assolutezza tipiche dei giovani che Prévert ci ha poeticamente descritto – ma è difficile separarlo dal dolore, perché gli adolescenti hanno corpi e impulsi da adulti, ma sono costretti a rinviare la realizzazione dei loro sogni e dei loro progetti di convivenza a un futuro molto vago, dopo la scuola e dopo la ricerca del lavoro, secondo le capacità e le predilezioni di ciascuno.
Questo film ci dice che oggi le cose possono essere ancora più complicate: la storia di Sullivan (Sebastian Urzendowsky) è, infatti, anche la storia di un giovane immigrato dal Sudamerica a Parigi, dove si trova male, non riesce ad ambientarsi, non accetta una scuola priva di spazi per la fantasia e la creatività che sente inseparabili dal suo futuro.
Egli ha in mente di organizzarsi per tornare, con pochi amici, al paese d’origine, anche a costo di lasciare lei, Camille (Lola Créton) – che pure gli piace e ama – col cuore a pezzi, in un mare di lacrime, perché d’amore forse non si muore, ma si soffre…
Si allontaneranno, pertanto, i due ragazzi, e per un po’ si scriveranno, poi le lettere si faranno più rade, mentre la loro vita si differenzierà profondamente nei percorsi culturali, professionali e anche amorosi.
Non esiste, per nessuno, forse, la possibilità di realizzare gli amori giovanili: le vert paradis des amours enfantines baudelairiano si deposita nella dimensione memoriale della giovinezza, ma senza il ricordo di un periodo felice e spensierato.
Dopo qualche anno Camille e Sullivan si ritroveranno casualmente, a Parigi, profondamente mutati.
Non racconterò naturalmente l’epilogo del film – che facilmente può essere visto in streaming – che attentamente e analiticamente indaga soprattutto nel cuore di Camille, allora la più coinvolta nella storia, e ancora alla ricerca di un risarcimento per l’abbandono di lui.
Posso aggiungere, però, che è interessante considerare il valore simbolico del percorso di formazione culturale di lei: ha studiato architettura, ovvero si è dedicata alla disciplina nella quale la dimensione creativa si accompagna necessariamente a quella razionale.
La regista, che disegna con partecipazione leggera e non leziosa i diversi percorsi e le svolte della vita dei due ragazzi, gira “en plein air”, fra Parigi, la Valle della Loira e l’Ardèche, un po’ ricordando Rohmer - ma evitando il racconto morale e sentenzioso - e senza alcun patetismo sentimentale, cosicché ci salva dalle lacrime facili del mélo, semplicemente parlandoci con grazia del difficilissimo e inevitabilmente doloroso passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
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