Regia di Måns Mårlind, Björn Stein vedi scheda film
Kate Beckinsale nella guaina di latex della vampira Selene cade sempre in piedi: la terza dimensione ne enfatizza il volo con triplo carpiato e doppia pistola. Se la regola del gioco è sparare per dimenticare (l’assenza di una sceneggiatura, la mitologia spogliata di epica, la freddezza cromatica sposata al grado zero dell’emozione), l’introduzione del legame primario in questo quarto capitolo è un incosciente autogol. 15 anni dopo gli eventi di Underworld. Evolution Selene riemerge dal sonno criogenico e scopre di avere una figlia: l’ibrido tra due stirpi in guerra millenaria è una creatura con corredo genetico da fare invidia a entrambe. Gli esseri umani hanno scoperto le specie “aliene” e le hanno fatte vittime di un genocidio. Restano una razza poco interessante, basta un destro e vanno giù come un sacco di patate. Vampiri e Lycan sono solo più resistenti: la stereoscopia è artificio a uso e consumo dei vetri, e qui se ne infrangono più che in una trappola di cristallo. Sullo spettatore piovono schegge affilate e una pellicola che ha la sola attenuante della brevità. Len Wiseman cede il timone ai registi di Shelter. Identità paranormali: azione senza colpo ferire né colpi di scena, e il tentativo abortito di “congelare” l’umanità della protagonista per poi farla implodere nell’istinto animale. La Beckinsale ha occhi di ghiaccio anche per la figlioletta: la protegge dai nemici, ma resta l’antitesi di ogni voglia di tenerezza.
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