Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Un giovane miliardario attraversa New York sulla sua limousine per andare dal barbiere a farsi dare una spuntatina ai capelli. È umanamente comprensibile che un regista affermato provi la tentazione di dare in pasto ai suoi aficionados una supercazzola con scappellamento a destra, per vedere se si bevono pure quella: quindi, per quanto mi riguarda, la risposta all’imprescindibile domanda “ma Cronenberg ci è o ci fa?” è sicuramente “ci fa, ci fa”. Tralasciamo il protagonista catatonico, i dialoghi insensati e la messa in scena di una noia mortale, che sono scelte registiche. Non si può invece sorvolare sulla presunzione di voler raccontare il mondo contemporaneo con certi toni furbeschi, ammiccanti, buttando lì quelle che vorrebbero essere sottili metafore (l’uccisione della guardia del corpo come espressione di un delirio di onnipotenza, ma va là?), storpiando Marx in modo fintamente sbarazzino (“Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro del capitalismo”: uh, che ridere) e inserendo il tutto in una via crucis grottesca (in effetti lo è, ma non nel senso voluto dall’autore). Certo, quando si entra in questo gioco perverso si possono anche trovare spassosissimi i no global buffoncelli che imbrattano l’auto, buttano topi dentro un ristorante e lanciano torte in faccia: anzi, forse si poteva insistere sul versante slapstick (e magari inserire pure una gara di rutti, che non avrebbe sfigurato nel contesto). Ma, ragionando seriamente, questo film è una colossale presa in giro inspiegabilmente accolta come un capolavoro.
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