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Cosmopolis

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Cosmopolis

di supadany
7 stelle

David Cronenberg porta al cinema l’omonimo romanzo di Don DeLillo che aveva decisamente anticipato i tempi della futura, ormai passata ed ancora presente per alcuni, crisi economica.

Un romanzo che ben si presta alle corde dell’autore canadese che ha compilato lo script in pochi giorni (in molti caso, per sue stesse testuali parole, si è trattato di riportare dialoghi per intero).

Erick Packer (Robert Pattinson) è un giovane miliardario immerso nel mondo dell’alta finanza che si muove per New York all’interno della sua limousine.

In una giornata complicata dalla presenza del Presidente degli Stati Uniti, con la viabilità rivoluzionata da furiose proteste ed un funerale, non rinuncia a farsi portare dal suo parrucchiere di fiducia per farsi aggiustare il taglio.

Nemmeno i segnali che riportano l’intenzione di un uomo di eliminarlo lo dissuadono dal suo percorso.

 

 

Un altro tassello per il cinema cronenberghiano, sempre pronto a sperimentare e a fare un passo in avanti, in questo caso a partire dalla scelta del protagonista, un Robert Pattinson lontano dalle civetterie di “Twilight”, e dall’ambientazione per buona parte, finale escluso, racchiusa in una lussuosa limousine bianca.

Mezzo che diventa una vera e propria corazza, e non solo perché insonorizzata e blindata, che separa una realtà in crisi da un mondo economico a distanza siderale dall’uomo comune; due canali talmente distanti che, come dice uno dei tanti ospiti bisognerebbe distruggere il passato per arrivare al futuro (missione che nel frattempo pare andare avanti senza troppi ostacoli).

Dialoghi fittissimi, spesso destabilizzanti e dal tenore anche molto diverso, suggellano gli incontri compulsivi di Packer con i suoi ospiti (con primissimi piani a pioggia, un vero e proprio “crash test” per gli attori); emergono smania di sicurezza (della vettura all’inizio, ma poi anche del proprio organismo controllato quotidianamente da un medico), il gioco in borsa (si punta tutto su lo Yuan), le pulsioni sessuali, per una prostituta matura (Juliette Binoche), un’avvenente guardia del corpo e per la propria fresca ed algida moglie (Sarah Gadon sembra uscita da un dipinto) che negli incontri sente giustamente odore di sesso ed una distanza incolmabile.

E l’incontro ultimo, altrettanto frontale, è col suo “papabile” assassino (Paul Giamatti), non prima di un breve sussulto di passato dal parrucchiere, la sequenza più lunga ed in un luogo ancor più angusto con chiusura secchissima che lascia di sasso.

A David Cronenberg non piacciono le missioni facili, questa non lo era a partire dalle dinamiche originali del testo che sfociano su di un mondo in dissolvimento, tra pochi uomini che hanno dimenticato tutto e tanti altri di cui nessuno si ricorderà mai il nome.

Complicato da digerire, da qui la spaccatura tra entusiasti e detrattori, profondamente inquietante anche negli squarci (incontri) più semplici, freddo nello sviluppo, avido, evocativo (di cose non piacevoli) ed asimmetrico come la prostata del protagonista ed il suo taglio di capelli lasciato a metà.

Semplicemente devastante.

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