Regia di David Cronenberg vedi scheda film
L'occhio che annulla.
L'occhio-macchina da presa di Cronenberg spia, scruta, insegue, depista, indugia, logora, si dissolve, (tra)muta, svela.
Le parole nutrono il silenzio, ergendolo a verboso creatore di una parabola ellittica lungo la quale la costante, perversa, (dis)perdente, autodistruttiva ricerca di eludere/braccare l’anomalia - di aggiustare il taglio - (s)materializza ossessioni, squarcia equilbri(smi), libera la strada.
L'annientamento ha inizio. E non può che giungere a compimento.
Il rumore bianco che avvolge il morto che (s)ragiona, Eric Packer, lo accompagna nella traversata infernale verso la pacifica sconnessione di sé; perché lo smarrimento è un luogo infetto che non si può accettare, è una (con)fusione nebulosa di armonia e contaminazioni psichiche.
E' una prostata asimmetrica, un piano infallibile che fallisce, una previsione che non prevede l’imprevisto.
La limousine sfreccia a passo d’uomo, ospita lo spettro che non dorme, inghiotte fluidi organici, eccita topi incitandoli alla contestazione. E, ossequiosamente, osserva. Donne che scopano, teorizzano, sfuggono; un medico che viola condotti rettali; giovani che giocano con i cassonetti dell’immondizia capitalistica.
Fuori il caos, forse il caso; sfregiata la carcassa elegante procede nell’impercorribile percorso catalizzatore d’incroci compositi (de)formativi e allucinanti, che rivelano a Eric Packer l’insostenibile disorientamento dell’essere, l’inconcepibile concezione dell’insensata astrazione dalla visione.
Non colmano l’insopprimibile vuoto i check up quotidiani, il sesso compulsivo che lascia odore ma non sapore né conforto, l’esercizio freddo e chirurgico del potere, i mascheramenti che celano l’angoscia e nel contempo la bramano, i lucidi momenti di follia, che esplode e subito implode, impreca, imputridisce, perché non è niente, non significa niente.
Boati belano. Una testa schizza e s’eclissa. Una mano incontra una pallottola e s’inabissa. Non sono niente.
Con la faccia impiastricciata che brevemente lo connette alla realtà e lo trasfigura in un automa che ha acquisito consapevolezza della propria identità di anima inanimata e inesistente, Packer, il miliardario, il deturpato, il liberato, può affrontare la dannazione del confessionale con l’altro sé: il reietto, ripugnante, inutile Benno Levin (un Paul Giamatti semplicemente perfetto).
Un finale che è il cuore nero, tossico, stordente dell’allegoria delilliana, alla quale Cronenberg (anche sceneggiatore) conferisce il suo sguardo scientificamente deformante e la costruzione di una tensione impareggiabile per conoscenza della materia ed abilità nello stimolare/tormentare l’intero apparato sensoriale.
Complici le musiche di Howard Shore - sottili, pungenti, nevrotiche, che s’insinuano sottopelle alterando organi, strutture, funzioni - il torbido crescendo della partitura orchestrata dal regista canadese è portentoso e inquietante (e nemmeno scalfito - piuttosto: servito - dalla rigida e meccanica interpretazione del protagonista), che crea dipendenza e suscita sconfinata ammirazione e devozione.
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