Regia di David Fincher vedi scheda film
Un remake sul libro omonimo di Larsson che apre alle riflessioni su quella che è una vera e propria piaga sociale: la violenza di genere
Fincher affronta il primo libro della trilogia di Larsson per parlare di una serie di femminicidi da risolvere. La violenza di genere però è presente anche nella vita attuale della protagonista, Lisbeth: per difendersi e porre fine ai soprusi del padre gli ha dato fuoco uccidendolo all'80%, come dice lei dandi un messaggio molto forte su come il male non possa poi essere mai estirpato completamente. A causa di questa sua ribellione Lisbeth si è vista assegnare un tutore il quale sfortunatamente ha un ictus e perdendo la capacità di gestire le finanze di Lisbeth viene sostituito da un assistente sociale che diventa il nuovo aguzzino di Lisbeth. La vita della protagonista, i soprusi e le violenze sessuali che subisce nella prima parte del film ci presentano uno dei tanti uomini che odiano le donne nel film. Quanto racconta Fincher con l'utilizzo anche di un sapiente montaggio e di inquadrature chiave che mostrano l'orrore e la resilienza della protagonista lascia lo spettatore inerme di fronte alla grande frustrazione di appartenere a un genere di cui a volte sento di vergognarmi. Non c'è un punto di vista di parte, ma lo sguardo della camera esterno all'abisso in cui cade Lisbeth è sufficiente a fare immaginare allo spettatore quanto sia tragico e incomprensibile. La scena della doccia in cui Lisbeth si accovaccia nella vasca che l'avvolge e la protegge mi rimasta impressa negli occhi. Certo guardando queste scene viene da chiedersi: ma cos'è che dobbiamo combattere come uomini? Il fatto di essere degli animali addomesticati che devono fare i conti con il lupo che è in loro? Mi sembra un'idea così abusata e banale, l'uomo in lotta con la propria natura... forse dovremmo condannare invece l'incapacità di uno sviluppo cognitivo, etico e morale che dovrebbe ricevere nella nostra formazione per sapere affrontare le pulsioni e la violenza della nostra natura controllandole e superandole. Ecco, questo mi aspetterei da un uomo. Di certo il rigetto di quello che siamo allo stato selvatico è la prima coscienza che dovremmo ottenere.
Il profilo psicologico di Lisbeth è approfondito nelle varie scene e certo la scelta sul finale alternativo rispetto al libro lascia l'amaro in bocca: Lisbeth sarà destinata sempre a non trovare un rifugio, qualcuno che la ami per quello che è e la ripaghi dell'amore di cui è stata privata? Perché sembra che gli uomini o la maltrattino o la sfruttino? Il racconto ci schiaccia su questa esistenza contraddittoria e sulla debolezza dell'essere umano, su quel bisogno di sentirsi amato così com'è proprio degli animali, come il gatto del film che crea un rapporto d'amore e conforto con il protagonista e che vive un parallelismo con l'esistenza di Mikael.
La scelta di Larsson di fare innamorare Lisbeth di un uomo più vecchio di lei di 22 anni è forse la ricerca di una compensazione all'amore paterno mancato e trasformato in un incubo.
Fincher gioca con i colori scuri, musiche che fanno salire la tensione e prove attoriali che sono pugni nello stomaco. La violenza che costella il film non lascia scampo e ci mette tutti di fronte alle nostre responsabilità sociali, come comunità, educatori, semplici passanti, uomini. Citando De Andrè, per quanto noi ci sentiamo assolti siamo per sempre coinvolti...
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