Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Jerry Maguire ed altri animali. Quelli della mia generazione hanno almeno un debito di riconoscenza nei confronti di Cameron Crowe e questo si chiama “Almost famous”. Sebbene lo scrivente abbia un debole per la produzione generale del regista, in particolare per Singles ed Elizabethtown, è indubbio che il suo miglior apporto alla settima arte rimanga ancora quel nostalgico racconto di formazione in rock targato Stillwater (e Penny Lane). Una premessa doverosa per dire che è dunque inevitabile una certa aspettativa nei confronti dei nuovi lavori di questo cineasta, mettiamoci poi che quest’ultimo “La mia vita è uno zoo” – titolo peraltro orribile – arriva dopo sei anni di silenzio (ad eccezione del bel documentario celebrativo sugli amici Pearl Jam) ed il gioco è fatto: ci si ritrova letteralmente in ansia da prestazione altrui. Inguaribile romantico nonché specialista nel narrare storie di personaggi che si rimettono in piedi nonostante mille avversità, Crowe inscena l’avventura sentimentale di Benjamin, giovane vedovo costretto a cambiare stile di vita per il bene dei due figli. Convinto che l’unico modo per evitare una forte depressione sia quello di tagliare i ponti con il passato, il nostro si trasferisce fuori città dove acquista un’ enorme tenuta che presto si rivela essere nientemeno che uno zoo in disuso. Trascinato dall’entusiasmo della piccola secondogenita e da una nutrita squadra di addetti ai lavori che vedono in Ben l’ultima possibilità di salvezza per l’intero parco naturale, il padre protagonista s’imbarca in un’impresa di recupero che lo riconcilierà con il mondo. Diciamo che le trappole per soccombere ai cliché del filmetto per famiglie c’erano tutte: la prevedibilità insita nel soggetto, le inevitabili dosi di melassa, il rischio di facile retorica sui valori famigliari. Nelle mani di molti altri registi, questa sarebbe diventata una pellicola trascurabilissima, Crowe, invece, riesce a conferirle diversi valori aggiunti che alla fine fanno la differenza salvandone l’esito. In primis lo splendido lavoro fatto con gli attori, improntato come d’uso ad una coralità che nulla lascia al caso. Caratterizzazioni semplici ma efficaci che arricchiscono il plot di humor (MacFayden, Higgins, Church), dolcezza (la minuscola Maggie Elizabeth Jones ma soprattutto Elle Fanning che al solo apparire illumina intere sequenze) e malinconia (l'aura di Stephanie Szostak ma anche rivedere Fugit in un ruolo minore fa il suo effetto). Un’allegra brigata che ben supporta e valorizza l’ottimo lavoro di Matt Damon e Scarlett Johansson nei ruoli principali, entrambi misurati e capaci di reggere una moltitudine di lunghi primi piani come pochi altri in circolazione. L’alchimia c’è. Velata, contenuta, in procinto di esplodere da un momento all’altro. Al resto ci pensa la musica ed in questo sappiamo che il buon Cameron colpisce sempre nel segno. Petty, Stevens, Young, Dylan, Temple of the Dog (uno dei personaggi si chiama McCready, sarà un caso?), ballate rock ineccepibili a fare da giusto e costante commento musicale a quella che in definitiva può essere interpretata come una lunga dichiarazione d’amore verso animali, libertà e soprattutto verso le persone. Smaccatamente ottimista ma ogni tanto ci vuole anche questo.
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