Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Qualcosa di vago, d’indefinibile eppure percettibile, come un sottofondo straniante e rarefatto che s’insinua lentamente nell’atmosfera intima ampiamente conosciuta, rende questo film - che ha un plot e uno sviluppo di stampo classico e prevedibile - sommessamente piacevole, sottilmente rassicurante, comunque apprezzabile.
La mia vita è uno zoo è un’avventura familiare venata di piccoli grandi drammi e piccoli grande conquiste, che procede in maniera fluida e decisa lungo percorsi collaudati e sicuri, con l’utilizzo di schemi narrativi ed emozionali “garantiti”, incanalati in flussi efficaci e veloci che raggiungono lo spettatore, invitandolo a prendere parte all’evento. Pur essendo ispirato ad una storia vera (ormai un must ricorrente, che serve spesso a “coprire” sporche tracce pedisseque e seriali), non racconta nulla di nuovo, nella forma come nei contenuti. E così elementi più volte visti e sentiti s’incastrano a formare una struttura che già ci appartiene: la dolorosa elaborazione del lutto di una madre e moglie; i figli da crescere - un quattordicenne problematico che fa disegni horror e si fa espellere da scuola, e una bambina ancora troppo piccola per capire -; la “fuga” dalla triste e frustrante realtà cittadina (“è rumorosa la loro allegria” - dice la figlia al padre) per tentare un nuovo inizio; la cura degli animali come cura di se stessi; le prime cotte adolescenziali e le nuove cotte che possono rappresentare, finalmente, una svolta; ed ancora ostacoli, imprevisti, avversità, contrasti, possibilità.
Insomma, un’avventura in piena regola, e regolarmente a lieto fine.
Ma l’opera di Cameron Crowe possiede un’anima, magari imperfetta e irrisolta - in un modo che ricorda da vicino il contrastato Elizabethtown - però sincera, partecipe, “viva” e pulsante, che cerca posto - uno tutto suo, discreto, “diverso” - in mezzo all’affollata galleria di prodotti fatti con lo stampino, fuoriusciti da vetuste catene industriali e configurati a logore logiche commerciali.
Avvolgendo il gravoso e poco malleabile materiale a disposizione in un’atmosfera accuratamente minimal saturandola al contempo di felici umori trasversali e multiformi, il regista ottiene una messa in scena credibile e concreta, in cui convivono fruttuosamente ambientazioni naturalistiche e spirito indie rock, oliati meccanismi da film per famiglie e bizzarrie visivo/sonore, risvolti drammatici e toni grotteschi. Il tutto con semplicità e soprattutto con la volontà di non cedere a facili virtuosismi e la saggia capacità di non indugiare in leziose riprese panoramiche, come a cercare, più che l’effetto, l’affetto.
A dar sostegno alla creatura di Crowe contribuiscono sia una valida, costante tenuta che evita momenti di stanca e di disinteresse sia la buona interpretazione degli attori: se Matt Damon è una sicurezza, in grado di conferire al ruolo bravura e solidità, una Scarlett Johansson lontana dai consueti exploit divistici e sexy sorprende in positivo, anche in proiezione futura. In secondo piano convincono due ben definite spalle come Thomas Haden Church e il Patrick Fugit di Almost Famous, mentre la bambina che interpreta la figlia del protagonista, pur adorabile, eccede talvolta con le smorfie e in un paio di occasioni la sua recitazione appare troppo forzata. Nulla da eccepire invece per Elle Fanning, un’attrice fantastica destinata ad uno splendido avvenire.
Infine - ed è riconosciuta prerogativa di Cameron Crowe -, grande importanza riveste il commento musicale, come sempre ricercato e non banale né tantomeno buttato lì a caso, in cui alle ottime, fini e “aliene” note originali di Jònsi, leader degli straordinari Sigur Ròs, si accompagnano diversi magnifici, seminali brani: tra gli altri da segnalare assolutamente Cinnamon Girl di Neil Young e Hunger Strike dei Temple Of The Dog.
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Da un film di Crowe è sempre lecito attendersi una grande colonna sonora.....il nostro Cameron ha dimostrato dai tempi di Singles (e qui sottoscrivo in toto il commento di @stuntman) di avere una marcia in più quando si parla di rock rispetto agli altri colleghi. E il fatto che sia andato a pescare i Sigur Ros (concordo....straordinari) ne è la dimostrazione. Ciao
sono contenta di non essermi sbagliata,perchè dopo alcune invettive di altri, specie sui personaggi,
con la tua scrittura fuori classe hai reso giustizia al film.Un saluto!
Su "Singles" (e su Crowe) siamo sulla stessa lunghezza d'onda, assolutamente. Fantastico quando partono le note di "Hunger Strike", così incredibile e familiare! Ciao bufera, e grazie, non mi preoccuperei degli altri, si hanno gusti (e modi di porsi) diversi. E non ti saresti "sbagliata" in ogni caso. Ciao a tutti.
Anche per me Crowe è regista nettamente sopra la media per quanto riguarda il cinema hollywoodiano ed ecco perchè questa mitragliata di buoni sentimenti e carineria mi ha lasciato tramortito.E'stato un film che appena finito ho pensato fosse carino ma poi più ci pensavo e più mi addoloravo che ci fosse Crowe dietro la macchina da presa...ecco perchè dalle 3 stelle poi sono retrocesso a due...Un saluto a tutti.
Sì, capisco, non escluderei interferenze della produzione (se guardi al curriculum della co-sceneggiatrice ti puoi fare un'idea ...). Tutto sommato, però, col suo tocco Crowe è riuscito secondo me a rendere (quasi sempre) accettabili certe stucchevolezze, anche se avrei preferito anch'io toni più grotteschi e intimisti. Ciao Brad.
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