Regia di Gavin O'Connor vedi scheda film
Sport e famiglia. Ma mica quelle storielle edulcorate di formazione e trionfo, no. "Warrior" è incredibilmente vicino a quel "The Fighter" che valse un Oscar sia a Christian Bale che a Melissa Leo. Vicenda di sofferenza e rancore, di rabbia che acceca. Genitori scomodi, di quelli che ti uccidono l'infanzia; una vita passata a fuggire lontano da tutto e da tutti, affetti compresi. La lotta agonistica, il combattimento corpo a corpo come unica valvola di sfogo, come unico riscatto possibile. Due fratelli divisi e riuniti nel dolore con alle loro spalle un padre divorato dal senso di colpa. Gavin O'Connor è uno che ci sa fare, "Miracle" e "Pride and Glory" sono lì a testimoniarlo pur non essendo dei capolavori e stessa sorte spetta a quest'ultimo lungometraggio che in qualche modo li unisce. Il film ha infatti dei gran bei momenti, soprattutto nella prima parte, quella in cui si gettano le basi per il prevedibile crescendo del torneo finale. Lì lo sviluppo in parallelo funziona ed i personaggi ti entrano dentro perché dolenti ed imperfetti. L'azione c'è, i combattimenti sono girati e coreografati in maniera funzionale e coinvolgono quanto basta. La tensione emotiva regge il passo per poco più di un'ora ma poi cede sotto le mancanze di un soggetto che non ha il coraggio di andare sino in fondo ripiegando su materiale sensazionalistico come il patriottismo raffazzonato dell'eroe disertore o sul classico confronto alla Davide contro Golia. Nonostante la patina di retorica, "Warrior" rimane cinema di discreta fattura che ha la sua punta di diamante nell'intensa prova offerta da Tom Hardy e Nick Nolte. Il miglior incontro del film non avviene infatti su di un ring o dentro una gabbia ma semplicemente in una camera d'albergo.
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