Regia di Gavin O'Connor vedi scheda film
Scontato e retorico. Eppur intenso ed emozionante. O'Connor gioca sul sicuro gestendo materia e svolgimento narrativi nel più classico dei modi. Ha dalla sua l'intelligenza e la furbizia di dirigere e valorizzare un parco attori in stato di grazia cucendo loro addosso il film. La prima parte fatta di volti e la seconda incentrata sui corpi scandiscono un climax efficace. Dunque la scelta di armarsi inizialmente di camera a mano nel ritrarre i personaggi per poi passare al campo medio al momento dell'azione. Pur prendendosi i suoi tempi la pellicola ha ritmo nelle gambe, come un pugile che dosa le forze per arrivare lucido in fondo al match. E qui la prima intuizione vincente: la disciplina in questione fa gioco forza e dona alle immagini un respiro e una spettacolarità superiore a tante delle sequenze pugilistiche immortalate al cinema. La mistura di lotta greco romana, boxe e arti marziali orientali buca lo schermo e arriva dritta allo spettatore. Si sentono sul serio le botte. Belle intuizioni sono il portare in scena l'attualità della crisi e il cappio delle banche al collo dell'uomo comune - e allora ci si sente chiamati in causa, perchè è cronaca dei nostri giorni - e la guerra in Iraq, un improvviso e inatteso excursus nella storia che mescola le carte e stimola la platea. Due fratelli con un conflitto irrisolto e un padre in cerca di redenzione ritratti in un paio di scene madri girate con mano sicura e convinzione, in primis Nick Nolte ubriaco a caccia dei suoi mostri interiori (la metafora di Achab e Moby Dick è potente e evocativa) consolato da un bravissimo Tom Hardy. Si piange. Si partecipa ai drammi e alle scelte famigliari, alle discussioni avute nel bagno di casa a tarda ora. Si condivide l'idea del sacrificio per tenersi ancorati alle proprie mura domestiche. Ci si interroga e inorgoglisce al gesto eroico di cui si è artefici per caso, per obbligata scelta umana. Si percepisce il dolore dei reduci e del fronte, la paura, lo schifo della guerra e la voglia di disertare. Si interagisce con l'onnipresenza dei media che ti raccontano i fatti e svelano le verità, attualizzate dalle microcamere dei telefonini e da YouTube. Si tifa agli incontri a bordo ring (anzi a bordo "gabbia"). Si incita il professore buono assieme al coach vagamente new age e ai suoi allievi capeggiati da un simpatico preside. Si sorride alle telecronache e alle americanate di matrice wrestlingiana. Si è complici in sintesi di un percorso emotivo che porta inevitabilmente alla catarsi finale. Due ore e venti già scritte, e allora perchè si esce dalla sala sorprendentemente appagati e col cuore gonfio? Perchè questa è la magia del cinema. Non c'è altro da dire.
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