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Attack the Block. Invasione aliena

Regia di Joe Cornish vedi scheda film

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La recensione su Attack the Block. Invasione aliena

di PompiereFI
4 stelle

Una scia luminosa si staglia in cielo, e si confonde con la giostra di colori dei fuochi artificiali. Samantha Adams, una ragazza dal profilo francese e dal naso quasi aquilino, cammina per le strade di Londra mentre è a telefono con la madre; concorda una visita imminente in famiglia e riattacca. Poi si scopre vittima di un’aggressione, minacciata con un coltello da una banda di giovani dal volto coperto che gli intimano la consegna di cellulare, soldi, borsa e anello. A salvarla (o a condannarla) arriva una specie di piccolo astro che, come fosse precipitato dal nulla, distrae il gruppo di criminali rivelando un animale aggressivo e non identificabile pronto a mordere chi ha intenzione di avvicinarsi. La combriccola non si accorge che, uccidendolo, scatena una pioggia di piccole meteoriti, ognuna delle quali contiene un visitatore più grosso, peloso, nero e cattivo del primo.

 

Questa è la promettente idea di partenza di “Attack the Block”, il film d’esordio di Joe Cornish, proiettato allo scorso Torino Film Festival. Il gruppo di adolescenti incappucciati che assale la ragazza è un branco di mostri fra i mostri che non crede in nessuna istituzione. Stampa, servizi segreti, avvocati, televisioni: i ragazzi sono diffiDENTI con chiunque possa essergli d’aiuto, perfino i familiari più stretti sono tenuti all’oscuro, perchè “il governo ha tentato di annientarci con la droga, poi ci ha dato le armi e adesso gli alieni”.

Quello che hanno imparato non viene certo dai banchi di scuola; le uniche lezioni conosciute sono quelle apprese frequentando le strade. Sono una mandria di bisonti che tira avanti a testa bassa, funamboli tra i dossi delle carreggiate (attenzione agli svantaggi nell’indossare un casco quando non si è alla guida di uno scooter) e i terrazzi dei grattacieli.

 

Ai miei occhi sono apparsi però come dei finti emarginati che mostrano fin da subito il loro aspetto empatico: ognuno ha quella caratteristica propria degli eroi per caso, che si sviluppa dopo esser nati come personaggi “negativi con brio”. La loro mediocrità trionfa mentre respirano l’aria del cosiddetto “Blocco”, una grande costruzione denominata Wynham Tower, a sud di Londra, e formano sbuffi di aria novembrina condensata, in un banalissimo tentativo di iperrealismo sociale di periferia mescolato alla fantascienza vecchio stile ai confini della realtà (all’interno del palazzo nessuno sente e vede niente, tanto che potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale senza lasciare traccia).

 

L’opera raggiunge un’alta densità burlesca quando gli alieni si rivelano ai nostri occhi: gigantesche scimmie visibili in notturna grazie al loro apparato dentario fluorescente. Sembrano usciti da poco dalle scuole medie dopo essere stati sottoposti a un trattamento di ionoforesi dentale. Invincibili di fronte alle forze dell’ordine, si fanno spaventare dal fumo dei botti, dal fumo della marijuana e da quello di Londra, unico principio attivo in grado di rallentarli. Mentre la “ragazza francese” è l’infermiera dalla proteina aggiunta, la Carla Bruni che gliele suona con la chitarra, la maestra di vita che ha la pretesa di insegnare educazione civica ai poveri teppistelli frastornati, in uno strillo assordante di illegittima semplificazione.

 

Il film tenta onorevolmente la strada dell’ironia. Purtroppo sono la regia e la sceneggiatura a non essere all’altezza, smarrendosi tra rombi di motoretta, musica rap & house, e sangue di brufolo strizzato, infarcendo le battute di umilianti “Siamo il blocco, cagati sotto!” e “Liscio come il piscio”. A Cornish auspico un veloce ritorno ai sabato sera televisivi britannici dove pare abbia ricevuto premi per le sue qualità di conduttore o una nuova convocazione (dopo quella di Tintin) che aiuti Spielberg nei suoi avventurosi pastrocchi. “Attack the Block” è una pellicola condotta da una mano discontinua che non ha niente di originale da proporre, facile e distante dalla prima all’ultima scena, spudorata nel cavalcare l’onda di un possibile senso metaforico della storia e con un ritmo visivo trascurabile che soffoca il film di genere di cui vorrebbe rappresentare il lato sagace e divertente.

 

Le onnipresenti scene di ingegno nerd alimentano la fastidiosa sensazione di assistere a un videogame in acido, all’arruffamento tipico di quei cartoni animati giapponesi dove si parlano sopra tra una battuta scema e un’altra ancora più scema, a una “horde” fotocopiata e capovolta, incapaci di seguire lo sviluppo delle dinamiche psicologiche semplicemente perché non esistono.

 

Il destino del gruppo dei vandali “de’ noantri” viaggia in parallelo con quello delle creature lanose: non li troveremo ne’ alle medie a seguire i tempi terapeutici della ionoforesi e nemmeno alle superiori, causa assenza prolungata. Questi ragazzi/alieni sono destinati a rimanere soli/solo nell’immaginario di Cornish e duracevolmente (leggi energici oltre ogni possibilità) in giro, con tanto di feromoni che si guadagnano la mia avversione, mi fanno venire nostalgia delle caciare di “Commando” e demineralizzano lo smalto senza alcuna regressione dei sintomi.

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