Regia di Ivan Cotroneo vedi scheda film
L’impatto con “La kryptonite nella borsa” è difficile: tanta voce fuori campo e un surrealismo smaccato ci accolgono in una Napoli dei primi anni ’70, in cui una famiglia napoletana allargata vive una vita apparentemente normale. Ma i problemi montano e le cose si complicano, tutto attorno al filo conduttore dell’amore (almeno a quanto dice la poco convincente voce off)…
Così come la trama è semplice, anche i contenuti appaiono sciapi, senza vigore. Si ha l’impressione che il film racconti senza sapere cosa raccontare. Gran cast e bella fotografia, per carità: “La kryptonite nella borsa” ha un suo stile, riconoscibile e piacevole nell’estetica. Ma alla fine si rivela un prodotto che si autocompiace, finendo per risultare intellettualoide, per via di un narcisismo spiccato e soprattutto ostentato.
Per sua stessa ammissione, il film si definisce “un film sull’amore, non sull’infanzia”. Ma a conti fatti ciò che rimangono impresse non sono le prese di posizione della giovane Hippie (Capotondi), che snobba l’handicap dell’uomo di cui è rimasta incinta, bensì la sua squallida avventura sessuale in una cabina dismessa di un’anonima spiaggia desolata; non resta nella mente il riavvicinamento di Rosaria (Golino) al marito (Zingaretti), bensì le scappatelle torbide di lui ed il vendicativo sorriso sadico di lei. Più che un film sull’amore, è una pellicola che lascia il sapore dei sotterfugi e della falsità, sentimenti imperniato attorno ad un sesso torbido, completamente slegato dall’amore, tra l’altro proprio in un periodo, siamo all’inizio degli anni ’70, in cui ci si batteva per la normalizzazione delle pratiche sessuali. Eppure ogni scopata è clandestina e sudicia, arrabattata e sbrigativa. Potrebbe anche dirsi un film sulla solitudine, quella dei personaggi ovviamente, che nonostante una numerosa parentela, vivono ognuno per proprio conto un’esistenza solitaria, tanto che Peppino, il piccolo protagonista, deve ricorrere ad un giovane parente defunto per trovare la forza di andare avanti, nonostante abbia genitori, nonni, zii ed amici che però oltre a preoccuparsi di sballottolarlo da una parte all’altra, non ne curano minimamente l’aspetto pedagogico e di crescita.
Il finale è scontato e del film rimane poco, a parte i tre pulcini dal destino infausto e un Superman nostrano che riprende movenze e sembianze dal “Sasaman”, mitico personaggio della fine degli anni ’90, protagonista di un programma televisivo campano di successo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta