Regia di Kevin Smith vedi scheda film
L'icona del cinema indipendente americano, quello fieramente citazionista ( almeno seguendo le chiacchiere dei suoi impareggiabili protagonisti) e con un occhio affettuoso rivolto ai nerds che lo animano, è tornata.
E sembra che abbia cambiato genere.
Da più parti era giunta voce che Kevin Smith si fosse dato all'horror ma dopo aver visto Red State credo che come al solito il regista si sia piazzato lateralmente ai generi cinematografici tradizionali per dare una sua libera reinterpretazione.
L'incipit è da film horror e neanche dei più originali: tre ragazzotti liceali neanche tanto svegli su internet scovano una 38enne che fa sesso a pagamento , la contattano e si danno un appuntamento.
Lei (che ha le forme neanche molto accattivanti di Melissa Leo) li droga e loro si trovano prigionieri nella chiesa del reverendo Cooper , impacchettati come salami oppure chiusi in una gabbia e assistono all'esecuzione di un gay che a giudicare dai proclami deliranti del reverendo è una delle cause della prossima fine del mondo, assieme a internet e alla promiscuità sessuale.
Ecco ora ci si aspetta una deviazione verso il torture porno duro e crudo e invece Kevin Smith ci sorprende. Il film diventa la cronaca dell'assedio da parte di una squadra speciale di polizia alla chiesa del reverendo dove sono asserragliati i suoi fedeli i quali, grazie al cospicuo arsenale che hanno a propria disposizione sparano sui poliziotti non pensando proprio a consegnarsi alle autorità.
Per ragioni di sicurezza ( ?) al capo di questa squadra viene ordinato di sterminare tutti quelli che sono all'interno della casa senza tener conto che ci sono bambini e si presume che ci siano anche prigionieri.
Red State se da una parte pone l'indice su tutte le storture che possono derivare dai fanatismi religiosi e dai sedicenti predicatori in grado di creare delle vere e proprie sette, d'altra parte critica ferocemente anche la ragion di Stato che in nome della sicurezza nazionale passa come un rullo compressore su tutto e tutti.
Non importa che dentro ci siano bambini o prigionieri. Bisogna uccidere tutti e non avere testimoni.
E questo è antiterrorismo o strage di Stato?
Forse in questo senso va letta l'ambiguità del titolo, oltre che del finale. Lo Stato Rosso è quello che impone la sua logica costi quel che costi.
Fa rima con dittatura fisica e ideologica.
Dicevo dell'ambiguità del finale: senza spoilerare posso dire che anche qui Kevin Smith ci ha messo del suo anche se ho letto che nelle sue intenzioni il tutto doveva essere molto meno ambiguo. Ma credo che sia stato meglio così.
Red State è costellato di barbarie e di inutili spargimenti di sangue, il regista beffardamente cambia protagonisti in corso d'opera anche se tutto viene dominato dalla follia rasente al delirio d'onnipotenza che anima il reverendo Cooper( un Michael Parks tarantinato).
Non un horror tout court quindi: ma uno sguardo incazzato verso quello che sta succedendo all'America post 11 settembre.
La paranoia si impadronisce delle coscienze, la paura del diverso crea violenza e la religione è un paravento comodo dietro cui ripararsi.
Se Lucky McKee in The Woman ( in cui vengono toccati temi comuni a questo film) deviava in modo deciso verso l'orrore antropologico, Smith sceglie la strada del grottesco.
Solo così può essere interpretato quel finale e tutta la seconda parte del film.
Stavolta il mastermind dei due Clerks e di Zack and Miri make a porno sembra che abbia abbandonato la commedia per fare un cinema più serio e critico.
O forse è solo momentaneamente arrabbiato.
(bradipofilms.blogspot.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta