Regia di Peter Weir vedi scheda film
Pellicola piuttosto ostica, tratta da un romanzo di Paul Theroux, sceneggiata da un pezzo da novanta del settore qual è Paul Schrader, diretta da un regista inflessibile come Peter Weir che, con temi conflittuali come quelli ivi presenti, va a nozze e infine interpretato da un attore di punta - almeno per gli anni ottanta - come Harrison Ford, qui alle prese con un personaggio insidioso, a tratti insostenibile in vera e propria antitesi col suo Indiana Jones.
Nomi importanti per un film interessante anche se non sempre illuminato nella sua evoluzione.
Allie Fox (Harrison Ford), stanco del degrado americano, trascina moglie (Helen Mirren) e figli (tra i quali figura River Phoenix) sulla Mosquito coast, dove arriva a comprare un villaggio intero che, grazie alla sua inventiva, trasforma in breve tempo in un piccolo centro, con tutto il necessario per vivere in pace.
Tuttavia, quando inaugura una macchina gigantesca, tale e quale al proprio smisurato ego, per produrre il ghiaccio, cominciano una serie di problemi che cambieranno per sempre la sua vita.
L’opera di Peter Weir propone parecchi conflitti, quali sviluppo/natura incontaminata (che tale non può più essere nel momento in cui la tecnologia avanza), scienza/religione (che alla resa dei conti escono in pareggio, o meglio entrambe mezze sconfitte, vista l’incapacità di scendere a compromessi dei loro rappresentanti) e progresso/arretratezza, intesi come stato di vita e conoscenza umana, che scandagliano l’arco narrativo in lungo e in largo.
Questo avviene principalmente tramite l'ingombrante figura di Allie, un uomo dal grande intelletto, che gli permette di portare a termine vere e proprie invenzioni, segnato dal pessimismo verso la società moderna (sempre più vuota e meno nazionalista), con una morale anticapitalista (le sue invenzioni non hanno il fine di arricchire alcuno), cocciuto e utopico come pochi, fino ad arrivare a perdere anche quel minimo equilibrio necessario per mantenere integri i rapporti umani e la vita stessa.
Un personaggio bigger than life che demarca tutto il film, che vanta passaggi intensi di vario stampo (avventuroso, per la natura primitiva che viene solcata, drammatico, per alcune svolte avverse ai protagonisti, da commedia per i momenti di naturale felicità), ma che all’inizio ha qualche sequenza non determinante e verso la fine si irrigidisce un po’ troppo, senza riuscire a chiudere al culmine del racconto.
In ogni caso, rimane soprattutto un film dai forti contenuti, che (ri)legge in modo personale il concetto di avventura e fondamentalmente portatore di un messaggio pessimista sulle capacità dell’uomo evoluto, poco incline al cinema americano (Peter Weir è australiano, ma il film batte bandiera statunitense).
Conflittuale.
Prova che testimonia la sua integrità morale ed etica, oltre che una buon abilità nello sviscerare temi non semplici anche se poi non riesce a mantenere sempre con costanza l'opera su livelli alti.
In ogni caso gli elementi positivi vincono abbondantemente sul resto.
Professionista serio.
Ruolo ricco e complicato che ci regala una nuova, ed opposta, faccia dell'eroe Ford.
Complessivamente bravo a coprire l'ampio raggio delle emozioni e pulsioni che contraddistinguono il suo personaggio.
Sorprendentemente bravo.
Lontana dagli echi della parte più recente della sua carriera, questa volta si trova alle prese con un ruolo più morigerato (la moglie che segue fedelmente il suo uomo nonostante tutto), ma non privo di lampi di recitazione sopra la media.
Discreta.
Efant prodige che lascia il segno per il suo volto anche se non sarà questo uno dei ruoli per il quale viene ricordato con maggiore affetto.
Più che sufficiente.
Compare un paio di volte mostrando una certa freschezza.
Pienamente sufficiente.
Interpreta il reverendo che carica con tutte le frasi fatte di predicatori più vicini al proprio ego che a Dio.
Più che sufficiente.
Recitazione immediata piuttosto proficua.
Più che sufficiente.
Parte da una scena (iniziale) e via.
Sufficiente.
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