Regia di Philippe Claudel vedi scheda film
Dopo il meritatissmo César del 2008 come migliore opera prima per « Il y a longtemps que je t’aime » (« Ti amerò sempre »), Philippe Claudel confeziona un altro gioiello la cui visione mi ha fatto letteralmente imbestialire e spiegherò perché. Cominciamo dalla trama. Alessandro (Stefano Accorsi) è un professore italiano di musica barocca a Strasburgo, dove vive con la figlia quindicenne Irina e il fratello, uno stravagante anarchico soprannominato Crampone (Neri Marcorè). Quest’ultimo si è trasferito in Francia, considerandosi rifugiato politico da quando Silvio Berlusconi governa la Penisola. La madre di Irina è morta cinque mesi dopo aver messo al mondo la figlia. Alessandro non è ancora riuscito ad elaborare il lutto, come si suol dire con un’orrida espressione pseudo-psicoanalitica, ma è un giovane padre dinamico, lettore di libri per anziani ricoverati, membro di una corale di musica barocca, circondato da amici e persone solidali. Vivendo con una figlia quindicenne intelligente e inevitabilmente ribelle e un fratello gentile e affettuoso quanto pazzoide, ha la sensazione di accudire due adolescenti. Scoprirà di essere proprio lui a dover compiere un ulteriore passo di crescita umana e sentimentale. L’immagine dell’ «italianità» proposta da Philippe Claudel è interessante. Il regista è mosso da sincera simpatia nei confronti di questi due fratelli italici, l’uno positivamente integrato nella società francese, l’altro inarrestabile personaggio da commedia dell’arte, tanto ammirata Oltralpe. Il film procede spedito, i momenti divertenti non mancano, come non mancano le situazioni commoventi, Strasburgo è fotografata con eleganza, la colonna sonora non manca di classe... Eppure, la visione di questo film, come ho detto, mi ha fatto imbestialire! Ma come? Una volta tanto, un autore francese mette in scena due Italiani di oggi credibili, due figure positive, li inserisce nel contesto europeo che meritano (Strasburgo va oltre la Francia) ma, per quanto ne sappia, la pellicola non viene vista praticamente da nessuno qui da noi, mentre in Francia vanno a vederlo in sala quasi seicentomila spettatori! Un bel giorno, una emittente del gruppo Sky decide di trasmetterlo in televisione con due scelte possibili : versione originale o versione italiana. Patatrac! Ma come? Il punto di forza, la finezza di questa elegante commedia risiede innanzi tutto nel suo impianto linguistico. Alessandro, divenuto ormai francese e francofono a tutto tondo, non ha in alcun modo rinnegato le sue origini e si rivolge al fratello in italiano. Quest’ultimo, però, ha deciso di abbandonare la lingua di Dante finché Berlusconi sarà al potere e si ostina ad esprimersi solo nella lingua di Molière. Ne scaturiscono dialoghi in cui le due lingue s’intrecciano, con scivolate da entrambe le parti, scambi esilaranti e di grande naturalezza, nel corso dei quali Stefano Accorsi e Neri Marcorè sono al meglio del loro talento recitativo. C’è poi Irina, la figlia di Alessandro, interpretata dall’ottima e promettente Lisa Cipriani. Nelle situazioni di conflitto con il padre, sbotta in lingua italiana, con pronunciato accento francese. Coregge gli errori di lingua dello stravagante zio. Lascio immaginare a cosa porti tutto questo nella versione doppiata interamente in italiano. Torna alla mente lo scempio perpetrato con il doppiaggio di « Le Mépris » di Jean-Luc Godard (1963), un obbrobrio tale, che il regista rifiutò di essere accreditato come autore di quella versione. Philippe Claudel potrebbe fare altrettanto per questo suo film. Perché Sky non ne ha previsto la sottotitolatura? Perché non si deve sapere che eccellenti attori italiani partecipano alla bella avventura del cinema francese degli ultimi tre decenni? Non so se « Tous les soleils » sia mai uscito nelle sale italiane, ma non ha alcuna importanza. Se ne sarebbe comunque vista l’edizione sciaguratamente doppiata. A dispetto di tanto disastro, segnalo la sorprendente prestazione di Neri Marcorè. Surclassa il pur bravo Stefano Accorsi, dando vita ad un personaggio degno degli Alberto Sordi e Nino Manfredi nelle migliori commedie all’italiana.
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