Regia di Paul Mazursky vedi scheda film
Poetico, agrodolce come nello stile caratteristico, riconoscibile di Mazursky al suo meglio (quasi al livello per dirsi, di "Harry & Tonto", "Stop a Greenwich Village"), con un Robin Williams stupendo, interprete che quando era ben diretto sapeva sempre toccare le corde giuste. Non si capisce come possa essere così sottovalutato da alcune parti, forse anche perchè essendo recensori di sinistra vedono il film come anticomunista(non certo anti-russi essendo la famiglia di Mazursky ebrea e originaria dell'Unione Sovietica, anzi l'identitarismo russo e la inevitabile nostalghia verso casa sono visti con grande sensibilità e tenerezza) . Basterebbe soltanto la poesia, la gioiosità grottesca e vitale della sequenza di arrivo del pullman("Freedom ways") con i circensi e orchestrali sovietici a Times Square e alla Broadway per non poter non citare Fellini, del quale Mazursky ha rappresentato un pò una sua versione americana "in 16°, con Fellini quello vero che ha interpretato sè stesso nel suo "Il Mondo di Alex"(Alex in Wonderland), e che fece poi conoscere a Federico un attore per lui importante, Donald Sutherland.
Il tocco di Mazursky che è stato equiparabile per la commedia amara e drammatica di ambientazione newyorkese a quello che ha rappresentato Lumet nel poliziesco per la meravigliosa città, qui ancora in piena ispirazione, e questo film del suo stile ironico è pungente ne rappresenta una capsula del tempo superba, come testimonianza della Big Apple del 1983--'84.
Senza fare sconti al capitalismo e alle false libertà, "orfane" come dice il protagonista Victor ad un certo punto, della società americana.
Da antologia la sequenza della defezione di Victor durante il giro consumistico(permesso alla comitiva controllata da due comici agenti del KGB(uno dei quali lo re-incontrerà grato per averlo obbligato a quella scelta della defezione, anni dopo anche lui a vendere l'hot-dog con il carrellino), del gruppo di circensi e musicisti russi, prima di tornare all'aeroporto per Mosca) da Bloomingdale's visto con un entusiasmo da sindrome stendalhiana di fronte alle vertigini date dall'arte (splendida anche la sequenza dello svenimento per l'emozione e la felicità di Victor di fronte agli scaffali con decine di marchi e tipi di qualità del caffè, oltretutto senza dover fare le code in ogni reparto), e un sorriso stampato di fronte a "cotanta decadenza" di orgiastiche merci e beni di lusso, "chiede asilo politico nel settore di mia competenza, tra Pierre Cardin e Yves Saint Laurent", come dice la guardia di sicurezza del centro commerciale il nero Cleavant Derricks("sono anche io un apolide vengo, vengo dall'Alabama"), per radio ai responsabili e alla polizia.
In questo sta la magnificenza di questa commedia americana che può benissimo essere annoverata tra le migliori del suo decennio, e che soltanto in un paese come il nostro di fazioni e sempre beceri settarismi, con troppi veterocomunisti dal paraocchi di cuoio ai vertici del giornalismo, può essere così incompresa. Basti citare la splendida sequenza del diner in prefinale nella quale Victor/Williams se trova a litigare il giorno dell'indipendenza americana 4 luglio, all'inizio senza capirlo e poi in russo, con un suo connazionale esule come lui di Leningrado e non di Mosca, perché egli non apprezza più i pericoli e le insicurezze della società americana, le donne nude su giornali, la criminalità, la lotta di tutti contro tutti come in una jungla di New York- è stato appena rapinato a mano armata nell'androne di casa da due adolescenti di soldi e documenti-, per poi convenire che le code sotto la neve per ore senza sapere nemmeno se alla fine troverai delle scarpe rimaste magari taglia 38 o 45, della agognata-sognata da intere famiglie- carta igienica, o del pollo, è infinitamente peggio.
E' un film sull'immigrazione e il melting pot di nazioni, esperienze, provenienze e culture, aspirazioni che si respirano in una metropoli come N.Y., ma scritto e argomentato, pensato registicamente e realizzato, enormemente meglio di quello che tanti potrebbero fare anche oggi, non parliamo poi nell'ambito del cinema italiano.
Irresistibile Alejandro Rey nei panni dell'avvocato esule cubano, esperto in questioni riguardanti le pratiche per l'immigrazione, e strepitoso il suo "flashback" di quando stragiato dalla traversata "balseros", approdò con un gommone sulla spiaggia del famoso albergo Fontainebleau di Miami. Per essere subito munificato di una mancia in dollari da alcuni facoltosi turisti in sdraio, che lo scambiano per un cameriere dell'hotel che deve portarli dei costosi cocktail.
Maria Conchita Alonso, la improbabile super ragazza di Victor subito conosciuta come commessa da Bloomingdale's, e che ritorna pure sui propri passi e decisioni, unico punto del film un concesso al melenso e al "troppo facile", in originale è Italiana come specifica lei stessa, abruzzese. Per motivi di opportunità forse con alcune battute non esattamente lusinghiere, vuoi anche per la nazionalità della Alonso, nel comunque eccellente adattamento e doppiaggio italiano, è stata resa messicana.
John Nada
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