Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Per chi, come me, è cresciuto a pane e Pearl Jam ed ha una venerazione assoluta per Eddie Vedder è un documentario assolutamente immancabile.
Cameron Crowe ritorna sul luogo del delitto, la musica (il fatto che sia partecipe aiuta parecchio), e riesce a mettere insieme due ore prelibate per i tanti fans del gruppo di Seattle e soprattutto all’inizio ci mette tanto di suo scegliendo anche una serie di immagini collaterali di buonissima fattura.
Tutto parte dagli inizi degli anni novanta, con una carrellata sul momento musicale e con le vicissitudini che hanno portato a contatto Stone Gossard e Jeff Ament con Eddie Vedder.
Infatti la vita è fatta di sliding doors e se il loro cantante Andy Wood non fosse morto per overdose non avrebbero mai conosciuto, tramite audiocassetta (son passati vent’anni, ma pare proprio di essere in un altro mondo), uno dei più carismatici, impegnati, restii ad apparire, veri, scontrosi, ma di gran cuore e riconoscenti al proprio pubblico, frontman in circolazione.
Poi parte la musica, col primo successo “Alive”, il secondo singolo “Jeremy” (non so quanti gruppi abbiano esordito con due singoli del genere), una rapidissima scalata al successo senza mai perdere le proprie coordinate, tanto che i “nostri” erano riluttanti a girare video promozionali dei loro pezzi.
Da qui una serie di curiosità succulente, dal significato della traccia “Release”, che diventa così ancora più toccante e profonda, al primo concerto acustico obbligato, non c’era spazio a sufficienza sul minipalco, e con la conseguente rapida chiamata di MTV per registrare l’unplugged, la comparsata per lo stesso Cameron nel film “Singles” (con Eddie che non c’aveva proprio un filo di voglia), l’anima pazza di Vedder che quasi ad ogni concerto si arrampicava sulle travi delle luci per gettarsi sul pubblico (e a testimonianza, un paio di volte ha rischiato la pelle volendo salire sempre più in alto), l’importanza dell’album “No code” in un momento in cui la fama li stava quasi uccidendo, il ricordo di Eddie per la morte di Cobain (dopo i primi attriti i due si portarono rispetto), l’ingresso di Neil Young nella loro vita, la battaglia contro Ticketmaster per il prezzo dei biglietti (“Non vogliamo che i nostri fan paghino cifre assurde per venire ai nostri concerti”), la tragedia di Roskilde (con un Vedder sinceramente segnato), l’innesto di Matt Cameron alla batteria, l’amicizia profonda con Chris Cornell e la meticolosità nelle scelte delle scalette, che a volte avviene anche dieci minuti prima del concerto, secondo le sensazioni che la location trasmette (e la scelta rappresentativa cade sulla mitica Arena di Verona).
C’è chiaramente anche molto altro, soprattutto tanta musica, ma queste sono state le cose che mi hanno più colpito.
Il tutto poi viene proposto in un flusso continuo di ottima efficacia, uno spazio non fagocitato da Vedder, ma che vede anche gli altri protagonisti quasi alla pari segno che, nonostante non tutto sia sempre stato rose e fiori, tra i membri del gruppo c’è un rapporto molto raro, d’altronde solo così, e vivendo una vita sufficientemente regolare, si può essere longevi ed in grado di produrre musica valida e personale con la dovuta costanza.
Documentario dunque imperdibile per chi li adora, comunque da vedere anche per chi ha verso di loro solo una certa stima (d’altronde artisti così non si trovano dietro l’angolo), perché dopo la visione questa non potrà che accrescere.
Riesce facilmente a comunicare la sua passione per la musica.
Buona prova d'insieme.
Anche quando parla sembra che canti.
Voce suprema, carisma da vendere, bello rivederlo in lungo e in largo nella sua carriera con i Pearl Jam dagli esordi da pazzo scatenato (i salti sul pubblico nei concerti da altezze considerevoli) all'oggi dove trasmette una pace interiore che illumina.
Da apprezzare anche il suo amore per il Belpaese : "Ho letto sui giornali di oggi che per i Pearl Jam l'Italia è come una seconda patria. Normalmente i giornali sbagliano, ma questa volta è vero".
Piacevoli le sue testimonianze e presenza che allarga un pò di più il tiro su la Seattle musicale.
Grande artista.
Anima e cuore.
Personaggio.
Alla mano e spirito da chitarrista virtuoso.
Anche lui un grande.
Poco prima di una tournè a fine anni novanta, dopo che i Soundgarden si sono sciolti, in due mesi impara tutto il repertorio del gruppo (80 brani, d'altronde i grandissimi girano le scalette ogni sera ed in ogni modo) ed eccolo qua.
Grande "acquisto".
Remember.
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